Nel secondo trimestre 2021 il Prodotto interno lordo italiano è aumentato del +2,7% rispetto al trimestre precedente. Le proiezioni Istat per fine anno indicano una crescita compresa tra il +5% e il +6% sul 2020. Il rimbalzo è positivo, ma non dimentichiamo che nel 2020 il nostro Pil ha perso il -8,9% contro il -6,2% medio dell’Unione Europea. Le statistiche, inoltre, dicono che dal 1999 al 2019 il Pil italiano è cresciuto meno di quello dei grandi Paesi europei: +7,9%, rispetto a incrementi superiori al +30% di Germania e Francia e al 43% registrato dalla Spagna. Scontiamo evidenti problemi di produttività (+4,2% per ora lavorata tra il 1999 e il 2019, contro gli incrementi superiori al 21% di Francia e Germania).
L’effetto è stato un peggioramento delle condizioni sociali. Il tasso di povertà assoluta, che nel 2005 era del 3,3%, è passato al 7,7% nel 2019 e al 9,4% nel 2020. Abbiamo il numero più elevato di Neet (popolazione di età compresa tra 15 e 29 anni che non è né occupata, né inserita in un percorso di istruzione o di formazione) a livello comunitario e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro resta molto al di sotto della media Ue: il 53,8% contro il 67,3%. Spesso le persone non sono formate per occupare le posizioni offerte; si sente la carenza di servizi alle imprese che curino educazione/preselezione dei candidati e andrebbe rafforzata la capacità di dialogo tra banche dati pubbliche/private. Il quadro è grave soprattutto al Sud, dove il processo di convergenza con le aree ricche del Paese è fermo.
Il rimbalzo che sta registrando il pil, unito ai fondi europei destinati al Pnrr, crea un’opportunità rilevante per un Paese alla ricerca di una crescita solida e duratura. Ora servono interventi e investimenti credibili e produttivi tesi a rafforzare la competitività. Non possiamo permetterci dispersioni e non dobbiamo sottovalutare un fatto oggettivo: la ripresa sarà a macchia di leopardo, non privilegerà tutti. Occorre una politica industriale strategica, che punti sui settori manifatturieri centrali della nostra economia (industria di marca alimentare e non food, tessile-moda, automazione industriale…), capace di catalizzare il rafforzamento dimensionale e patrimoniale delle imprese, che favorisca la nascita di imprese innovative e che tenga conto delle specifiche esigenze formative della forza lavoro di cui il Sistema Italia ha e avrà bisogno.
L’accelerazione della crescita economica sarà fondamentale per risolvere i problemi del debito e della disoccupazione. Su questo ultimo fronte stiamo assistendo a un recupero: da febbraio a giugno 2021 Istat registra un aumento di oltre 400mila occupati. Ma attenzione: rispetto a febbraio 2020 (mese precedente a inizio pandemia) il numero di occupati resta inferiore di 470mila unità. Sul fronte del lavoro c’è dunque molto da fare se si considera che in Italia il tasso di disoccupazione è in aumento dal 9,5% registrato nel quarto trimestre 2019 al 10,5% rilevato nel maggio 2021 (dato Ocse, 7/2021). E che il tasso di disoccupazione giovanile è salito drammaticamente da un livello già molto alto (28,7%), raggiungendo il 33,8% nel gennaio 2021 (per un confronto, a livello Ocse, ad aprile 2021, è del 15%).
In questo scenario vanno inquadrati i contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per gli effetti diretti ed indiretti che potranno avere sul lavoro. Impostazione e contenuti del documento presentato dal Governo Draghi delineano linee d’intervento per affrontare i problemi che affliggono il Paese. Per esempio: gli investimenti per la costruzione di un’infrastruttura cloud sicura ed efficiente per tutte le pubbliche amministrazioni (1 miliardo di euro); il piano per la riduzione dei tempi dei processi (-40% per il settore civile e -25% per la giustizia penale); gli incentivi per la transizione digitale del settore privato; le risorse stanziate per l’internazionalizzazione e il sostegno delle filiere produttive; la transizione ecologica (la missione più rilevante del Pnrr: 59,46 miliardi, pari al 31% del totale, da implementare tra 2021 e 2026).
I provvedimenti contenuti nel Pnrr sono fondamentali per la creazione di un contesto più favorevole alla competitività del Paese e all’occupazione, che saranno strettamente legati anche alla capacità del Governo e delle forze politiche di portare la concorrenza nei settori dove non è presente e assicurare adeguata vigilanza e contrasto alla concorrenza sleale e alle unfair trading practices che alterano i rapporti competitivi tra le imprese. Vanno rafforzati i controlli sul rispetto di norme e leggi all’interno dei mercati. Il mancato rispetto delle regole altera le condizioni in cui le aziende competono, penalizza gli onesti, pregiudica l’affidabilità dei risultati di mercato, mina diritti e sicurezza del lavoratore. E’ indispensabile procedere alla riforma del fisco (insieme alla legge sulla concorrenza è uno degli impegni che Governo e Parlamento affronteranno dopo la pausa estiva) per favorire la competitività delle imprese e il recupero di potere d’acquisto del consumatore. Il provvedimento dovrebbe essere accompagnato da una più efficace lotta all’evasione: chi non paga le tasse fa concorrenza sleale a chi adempie puntualmente ai suoi obblighi. Un altro intervento fondamentale è concludere la riforma della Giustizia penale e civile (dopo il via libera della Camera in extremis prima della pausa agostana, ora tocca al Senator). La lunghezza dei procedimenti pesa sulla vita e sui progetti di cittadini e imprese ed è un deterrente all’ingresso di nuovi investitori e alla permanenza di quelli già presenti in Italia. Quindi pregiudica la nostra competitività.
Il rilancio dell’occupazione e della competitività dipenderà dalla capacità di sciogliere questi nodi di fondo, insieme a quelli che caratterizzano in modo specifico, in Italia, il mondo del lavoro. Abbiamo una normativa di riferimento tra le più complesse, varata ormai 50 anni fa, che va rivista e semplificata. Il mercato ha bisogno di conciliare flessibilità e diritti della persona: è un percorso sicuramente complesso, ma su cui imprese e parti sociali dovranno impegnarsi urgentemente insieme al legislatore. Altro tema di fondo che non possiamo ignorare è il cuneo fiscale: abbiamo un elevato costo del lavoro che ci rende meno competitivi, ma che non si riflette nella busta paga delle persone. C’è poi l’esigenza di un rilancio delle politiche attive per il lavoro: sul piatto sono stati messi dal Pnrr 5 miliardi di euro di stanziamenti, cui si aggiunge un miliardo per il potenziamento dei centri per l’impiego. L’obiettivo da raggiungere è l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. È stato detto in tutte le sedi che oggi le aziende italiane non trovano persone dotate delle competenze professionali di cui hanno bisogno, e d’altra parte i lavoratori non riescono a intercettare velocemente le offerte di lavoro. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza si pone l’obiettivo sbloccare la situazione, di aiutare tre milioni di persone ad accedere al mercato del lavoro entro il 2025 attraverso attività di formazione/aggiornamento. Dovrebbe innescare una positiva concorrenza tra strutture pubbliche e private, alimentata dall’Assegno di ricollocazione riconosciuto al disoccupato e spendibile presso i soggetti che forniscono servizi per la ricerca dell’occupazione (l’assegno è pagato solo se il soggetto trova occupazione stabile, ndr). Dalla qualità della qualificazione e della riqualificazione professionale che sapremo esprimere dipenderanno le effettive possibilità di impiego/reimpiego dei lavoratori.
Ivo Ferrario è Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne di Centromarca