Condividiamo l’intervento del ministro Giancarlo Giorgetti in occasione dell’assemblea pubblica promossa da Centromarca lo scorso 25 giugno alla Triennale Milano. Nel corso del suo discorso, il ministro ha sottolineato che “La politica economica del governo continuerà a essere basata su princìpi di responsabilità, realismo e prudenza, simili a quelli con cui voi gestite le vostre imprese”, spiegando che, “Il Piano strutturale di bilancio a cui il Mef sta lavorando può essere la sede dove sistematizzare gli interventi, dando un’impostazione coerente alle politiche e stabile alla finanza pubblica”.
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“Vi ringrazio del vostro invito. Partecipare ad un’assemblea in cui si parla di impresa è un’occasione preziosa per il Ministro dell’economia.
È infatti l’opportunità di guardare all’andamento del nostro comparto industriale e all’importanza che questo riveste per l’economia italiana. Più di tutto, è l’occasione per ricordarci che siamo un grande Paese manifatturiero.
In questo senso, mi ritrovo perfettamente nelle parole del Presidente Mutti sul contributo dell’industria di marca al progresso sociale, economico e della vita delle persone. Come lui ha detto, se l’industria scomparisse le famiglie non potrebbero soddisfare i bisogni primari, per non parlare delle conseguenze sul piano finanziario.
Quello che è accaduto negli scorsi 15 anni è in realtà il contrario, ovvero una storia di sorprendenti successi, talvolta sconosciuti all’opinione pubblica.
Si dice che l’impresa italiana consegua i risultati migliori quando è messa sotto pressione perché spinta a ricercare il profitto tramite l’innovazione e la concorrenza. I dati sembrano confermarlo.
Prendiamo il valore aggiunto industriale: dal 2011 è cresciuto a prezzi costanti di 11 miliardi, arrivando a quota 282 miliardi nel 2022. Tutto questo è avvenuto mentre l’Italia attraversava i 3 principali shock esogeni dalla Seconda guerra mondiale: la crisi finanziaria, la pandemia e poi un conflitto bellico in Europa.
Ma il dato è ancora più rilevante se si considera che negli stessi anni sono entrati nel mercato mondiale nuovi player che hanno ridisegnato la mappa degli equilibri manifatturieri, a partire dalla Cina che ha raddoppiato i propri volumi, passando da 2,3 a 4,6 trilioni. Eppure, l’Italia ha conservato l’8° posto mondiale tra i Paesi manifatturieri con una quota che, nell’arco degli ultimi 5 anni, si è ridotta meno che in Germania e Francia.
Sono dati di cui andare orgogliosi.
Un contributo determinante è venuto dalle imprese medie, quelle tra i 50 e i 250 dipendenti. È un segmento nel quale si collocano un numero rilevante di attori dell’industria di marca e caratterizzato da elementi di eccellenza: dai livelli di produttività per addetto e di esportazione migliori di quelli dei nostri Paesi concorrenti, alla creazione di posti di lavoro qualificati e ben retribuiti.
Se fossimo capaci di “trascinare” insieme un numero più alto di imprese italiane in questa fascia, ancora troppo basso sul totale, ne guadagnerebbe il Pil e non solo.
Sono partito da questi numeri per inquadrare la partita che gioca il nostro Paese: quella delle grandi potenze industriali che competono sulla capacità di innovazione, sulla qualità del capitale umano, sulle condizioni infrastrutturali e finanziarie.
È una sfida comune che Governo e imprese devono affrontare insieme, ciascuna nelle proprie responsabilità. In questo senso accolgo con favore l’invito del presidente Mutti a “unire le forze” per affrontare i temi della sua relazione.
Tra essi, in particolare, mi focalizzo su uno, che è sicuramente al centro dell’attenzione sia dell’industria di largo consumo sia del Governo, ossia il potere di acquisto.
Come ho avuto modo di affermare, la priorità nell’allocazione delle risorse pubbliche resterà il sostegno ai redditi bassi. Un intervento necessario per ragioni di equità e per gli effetti positivi che potrà dispiegare sulla domanda interna. Inoltre, la solidità del mercato del lavoro, il rallentamento dell’inflazione e i rinnovi contrattuali attesi dovrebbero contribuire a un ulteriore effetto positivo sul potere d’acquisto delle famiglie.
Dal complesso di questi fattori aspettiamo un impatto positivo sui salari reali, la cui ripresa è una condizione essenziale per la tenuta sociale ed economica. Sono convinto che nella vostra qualità di imprenditori e di esponenti della classe dirigente del Paese condividiate questa finalità e la necessità di uno sforzo comune. L’incremento dei salari passa, infatti, sia da interventi pubblici sul piano fiscale sia, soprattutto, dal miglioramento dei livelli retribuitivi da finanziare mediante recuperi della produttività.
Voglio citare a questo proposito l’impatto dell’intelligenza artificiale, visto il rilievo che essa ha per la filiera dell’industria, della logistica e del largo consumo.
L’effetto che avrà la diffusione dell’IA sull’occupazione è incerto ma deve essere affrontato in modo meno remissivo di quanto avviene nel dibattito pubblico.
Dieci anni fa si guardava con timore a una mera sostituzione uomo-macchina che avrebbe spiazzato il lavoro operaio. In realtà, l’evoluzione è stata molto più articolata: lo Stato ha sostenuto con i diversi piani “4.0” un massiccio rinnovo di macchinari e di investimenti in competenze, che si è tradotto in incrementi di produttività, miglioramenti degli standard di sicurezza e nascita di nuove figure professionali.
Serve proseguire su questa strada con un passo ulteriore, valorizzando la mole di dati che le imprese possono oggi immagazzinare grazie alle tecnologie di 4.0 per lo sviluppo di modelli di IA che migliorino le performance aziendali. Su questo punto, il Governo è al lavoro con la Fondazione AI4Industry nel quadro delle politiche europee sulle AI Factories.
Dobbiamo essere consapevoli, infatti, che l’intelligenza artificiale ha molti rischi ma quello che più di tutti deve preoccuparci è diventare meri acquirenti, anziché sviluppatori, di tecnologie.
Concludo dicendo che la politica economica del Governo continuerà a essere basata su princìpi di responsabilità, realismo e prudenza, simili a quelli con cui voi gestite le vostre imprese.
Il Piano strutturale di bilancio, a cui il MEF sta lavorando in vista delle scadenze europee, può essere la sede dove sistematizzare gli interventi, dando un’impostazione coerente alle politiche e stabile alla finanza pubblica.
Un’attenzione particolare sarà data alla dimensione dello sviluppo industriale. Si tratta di un’indicazione chiara a chi deve giudicare la solidità dei conti e a chi deve comprare il nostro debito. E si tratta di un segnale di serietà verso chi, come voi, investe in Italia ogni giorno.
La strada del rafforzamento dell’offerta è più ambiziosa e meno scontata di quella mefistofelica della moltiplicazione dei bonus. Ma è l’unica seria e capace di dare risultati solidi. Il Ministero dell’economia e delle finanze è a disposizione per percorrerla insieme.
Vi ringrazio”.
Per ulteriori informazioni: mef.gov.it