L'Opinione

Centromarca - associazione italiana dell'industria di marca

Ivo Ferrario, 29/03/2017

Abbiamo la tecnologia Riempiamola di contenuti


Se l’innovazione delle automobili avesse potuto seguire il ritmo di quella informatica, oggi le utilitarie viaggerebbero a 480mila chilometri l’ora e costerebbero 4 centesimi di dollaro. Il paragone di Thomas Friedman, uno dei più noti opinionisti statunitensi, dà un’idea dell’incredibile progressione dell’evoluzione digitale.E’ difficile – e sarebbe arbitrario – stabilire in quale momento si possa tracciare lo spartiacque tra un “prima” analogico e un “dopo” digitale. Momenti di svolta sono stati sicuramente l’invenzione del World Wide Web da parte di Tim Berners-Lee nei primi Anni Novanta. O il lancio nel 2007 dell’I-phone, scaturito dalla straordinaria visione di Steve Jobs. Ma non possiamo dimenticare la rilevanza dello sviluppo di microchip sempre più performanti, delle reti di trasmissione e tante altri fatti che hanno contribuito a determinare la realtà digitale in cui siamo immersi e che non possiamo ignorare.
Facciamo le cose in modo diverso. Leggiamo, lavoriamo, studiamo, condividiamo idee, progetti ed emozioni attraverso il digitale. Succede e non ci facciamo caso, perché le architetture tecnologiche sono straordinariamente complesse, ma gli strumenti digitali sempre più immediati, utili, facili da conquistare chiunque.
Negli anni Sessanta e Settanta il supercomputer progettato dalla Ibm e programmato dagli ingegneri del Massachusetts Institute of Technology per guidare le missioni Apollo nei viaggi sulla Luna era grande come un camion. Oggi fa sorridere paragonare le sue capacità di calcolo a quelle di uno smartphone, soprattutto se consideriamo che al costo di 3,5 milioni di dollari corrispondeva una memoria di 64mila byte, contro i 256milioni di byte disponibili nei modelli top di un moderno apparecchio portatile, che solo per abitudine chiamiamo ancora telefono cellulare.
Guardiamoci attorno: miliardi di dispositivi diversi, fissi e mobili, oggi sono collegati. Le informazioni scorrono velocissime, in tempo reale superano confini geografici, alimentano dialoghi che interessano persone e macchine. L’innovazione avanza di continuo. Vetri, specchi, muri, mobili: progressivamente ogni superficie sta diventando touch, interattiva, intelligente, connessa.
 
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Proviamo sintetizzare alcuni elementi di riflessione per gli imprenditori e i manager dell’industria dei beni di consumo.
Per prima cosa il digitale impone di guardare alle persone e all’organizzazione. Non sarebbe né efficiente né efficace mettere a punto una strategia aziendale per lo sfruttamento delle opportunità digitali se i collaboratori non hanno la preparazione per capirla e tradurla in chiave operativa. Questo significa attingere dal mercato del lavoro le risorse necessarie e formare quelle presenti in azienda.
La parola chiave è: integrazione. Ottanta aziende su cento  (dati Ipsos 2016) hanno registrato benefici importanti da questa scelta, quando i collaboratori dotati di nuove competenze sono stati messi nelle condizioni di operare in sinergia con le persone (e il loro know how) già presenti on azienda. Nel caso dell’e-commerce, per esempio, si sono create le condizioni per l’espressione di una più efficace value proposition.
Si parla molto del ritardo infrastrutturale del Paese, ma indubbiamente, dal punto di vista degli utenti la digitalizzazione è un dato di fatto. E’ dunque imprescindibile per le aziende  attivarsi sui fronti dell’e-commerce (b2b e btc) e dei social media. Il primo può essere affrontato con successo anche da una piccola e media impresa, anche senza la creazione di un dominio diretto. Per esempio agganciandosi a un marketplace. Secondo l’osservatorio del commercio online di Netcomm e Politecnico di Milano, in Italia circa 40mila aziende sono attive online. E moltissime piccole e medie colgono i vantaggi derivanti dall’utilizzo di piattaforme comuni che consentono loro di approcciare il mercato digitale e farsi notare. Una soluzione per continuare ad occupare posizionamenti di nicchia (spesso ad alto valore aggiunto, su piccole produzioni) sfruttando la notorietà e le economie di scala di contatto degli operatori online (Amazon, ma anche siti di ecommerce aperti da consorzi o cooperative di produttori). 
Va sottolineato, però, che il contesto competitivo è caratterizzato anche da eccellenti start-up e da aziende tradizionali che hanno saputo cogliere le opportunità offerte dal digitale. Le aziende offline che hanno avuto più successo sono quelle che hanno messo in discussione il loro modello di business, il loro modo di relazionarsi con il cliente generando innovazioni appaganti per il cliente.
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Riflessioni importanti, nel contesto definito dal digital, meritano i social media.
Questi nuovi strumenti determinano cambiamenti fondamentali per le marche. Da attività progettata e gestita in modo mono-autoriale, il brand diventa il risultato di un’opera collaborativa intrinsecamente social. Una vera e propria “scrittura a più mani”, condivisa tra azienda e consumatori. Per questo il brand management deve tornare a essere uno dei principali focus attenzionali della gestione strategica delle aziende. Farsi prendere dall’euforia dei risultati ottenibili attraverso le forme più avanzate e performanti del digital marketing, tralasciando il tema del branding, rappresenterebbe un passo indietro pericoloso e disfunzionale.
La società dell’informazione è quella in cui la domanda si organizza, getta le basi per determinare le caratteristiche dell’offerta, impone alle aziende di trasformarsi in “Brand Editor”, cioè in entità capaci di operare e vincere nel mercato non attraverso i tradizionali meccanismi di promozione di un prodotto, ma agendo in modo intelligente e trasparente nelle comunità dei consumatori.
In questo contesto vince chi profila il Brand in modo coerente con le aspettative del consumatore. Farlo significa sganciarsi dagli stereotipi e riempire di contenuti veri e innovativi parole come marketing, qualità, innovazione, responsabilità sociale d’impresa.
Anche la distribuzione moderna lavora per leggere il consumatore in chiave digital. Il retailer tradizionale, fino ad ora, ha innovato soprattutto nella parte di back-end (dalla business intelligence alla fatturazione elettronica) e nella logistica. Se saprà agire anche all’esterno e all’interno del punto di vendita in una logica 4.0 sicuramente potrà cogliere risultati importanti.
In tutta la filiera è il momento di travalicare i recinti funzionali, di interagire, di contribuire proattivamente ai cambiamenti di cui le imprese – e più che mai il nostro Paese – hanno bisogno. Gli strumenti ci sono, ma contano poco se a monte mancano buone strategie, organizzazione, contenuti, condivisione, commitment. Parole ultranote nel mondo delle imprese, forse scontate, che però tutti siamo chiamati a riempire di contenuto e sostanza.
 
Tratto da Link Ibc – n. 1/marzo 2017

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