L'Opinione

Centromarca - associazione italiana dell'industria di marca

Luigi Bordoni, 31/08/2011

Fare sistema per rilanciare i consumi


Il comparto del largo consumo è da tempo esposto a difficoltà rilevanti e destinate a perdurare, in assenza di adeguati interventi, a diversi livelli. Interventi che vanno al di là di quanto possono porre in atto i singoli segmenti di questo mondo e che richiedono un’attivazione di sistema.

I consumi, nonostante una debole ripresa, sono ancora ben distanti dai livelli pre-crisi e non si intravvedono facilmente spazi per un recupero più deciso. Infatti, la spesa delle famiglie è limitata dall’andamento stagnante dei redditi ed è addirittura sostenuta dall’erosione del risparmio, fenomeno senza precedenti nel nostro paese; il potere d’acquisto tende ad essere frenato dalla ripresa dell’inflazione, sostenuta dai rincari,  dell’energia e delle materie prime; l’occupazione  non riparte: si è interrotta la contrazione degli occupati, ma non si prospetta una nuova fase incrementale; i salari reali  sono in contrazione per la prima volta in molti anni; le scelte di politica economica sono condizionate dagli obiettivi di risanamento della finanza pubblica.

In questa situazione, la filiera dei beni di largo consumo ha già da tempo assunto su di sé una parte importante di impegno e di onere per sostenere i consumi, mediante un radicale contenimento dei prezzi:  mediamente intorno alla metà dell’inflazione nell’arco dell’ultimo decennio. Nel contempo, per beni e servizi forniti in contesti non pienamente esposti alla concorrenza, si è raggiunto oltre il doppio dell’inflazione. Questa divaricazione ha portato ad una struttura della spesa delle famiglie  in cui si evidenzia – in modo clamoroso – come la parte destinata ai consumi venga progressivamente compressa dalla continua espansione di spese (spesso obbligate) per prestazioni fornite da settori protetti, che vengono ad assorbire la maggior quota del potere d’acquisto, peraltro in contrazione.

Ancora “nel biennio 2009-2010 – secondo il Presidente dell’Autorità Antitrust in audizione in Parlamento – i prezzi dei beni e servizi scambiati nei mercati in cui non vi è piena concorrenza, sono cresciuti in misura molto accentuata, superiore al 4%. Di converso, nei mercati con un efficiente sistema competitivo, si è registrata una riduzione, nell’ordine del  2%”.

Fra le riforme strutturali necessarie ai fini della crescita, le liberalizzazioni rappresentano l’intervento più diretto per generare risorse, rilanciare i consumi e quindi alimentare essenziali meccanismi di sviluppo. A costo zero per la finanza pubblica.

Secondo studi di Cermes-Bocconi per Federdistribuzione, “con un processo di liberalizzazione nei settori ancora protetti, è possibile stimare un risparmio di almeno 3.200 euro all’anno per famiglia”. Queste evidenze, spingono oggi Centromarca a riproporre ai soggetti  che compongono il “sistema del consumo” di fare delle liberalizzazioni un obiettivo comune, nei rapporti con l’opinione pubblica, le forze politiche e le istituzioni.

Interventi coordinati e congiunti fra produttori, distributori, organizzazione dei consumatori, mezzi di informazione consentirebbero di andare al di là  di quanto viene già fatto da ciascuna organizzazione individualmente, di esprimere un adeguato peso politico e di contribuire ad alimentare un’ampia domanda politica in questa direzione, necessario per superare le resistenze corporative.
Dall’evoluzione del modello di spesaemerge, però, che la contrazione della quota destinata ai beni di consumo è determinata, anche, dall’espansione di settori per lo più discrezionali e voluttuari. Questo secondo fenomeno: rende evidente un fronte competitivo esterno della nostra filiera con settori fortemente aspirazionali; chiama in causa le scelte strategiche delle imprese produttive e distributive; pone in primo piano la questione dell’attrattività della nostra offerta, compromessa da una perdurante ed accanita guerra dei prezzi, che da un lato ha generato il virtuoso andamento deflattivo che abbiamo visto, ma dall’altro ha prodotto una serie di criticità.

Sappiamo bene che l’enfasi pressoché esclusiva sulla convenienza: alimenta un circolo vizioso di downgrading e banalizzazione dei prodotti, mettendo a repentaglio il patrimonio più pregiato delle marche e delle insegne e compromettendo la fedeltà del consumatore; crea rischi per l’affidabilità e la sicurezza dei prodotti, quando non vi sono i vincoli reputazionali della Marca; fa venir meno le risorse necessarie per l’innovazione e la comunicazione, leve fondamentali per la crescita; comprime margini e redditività, determinando l’impoverimento delle imprese della filiera ed una contrazione dei livelli occupazionali.

Sono le conseguenze ed i pesanti costi sociali della price competition, che continuamente richiamiamo, prospettando la necessità che IdM e GdO adottino strategie congiunte, volte ad evidenziare l’insieme valoriale dell’offerta, potenziandone l’attrattività.

In questa direzione possiamo già vantare realizzazioni e risultati positivi ottenuti insieme. Ad esempio: l’accordo in Indicod-Ecr per la Corsia preferenziale per l’Innovazione e una sua più efficiente gestione o le best practice e le sperimentazioni one-to-one su molti aspetti di demand-side. Ora è fondamentale che la ripresa – già avviata – dei lavori congiunti su questo terreno, abbia un seguito convinto e deciso,  verso obiettivi di sistema. Su questo tema, vorrei richiamare i risultati di ricerca con Università Bocconi e Fondazione Ernesto Illy: i dati empirici dimostrano che “rispetto alla competizione di prezzo, la competizione di valore è in grado di garantire una migliore sostenibilità ed una più efficiente e durevole salute economico-finanziaria, per le imprese e per il sistema.”

L’altra sfida che si pone alla filiera produzione-distribuzione, è quella della correttezza dei rapporti, che è un’istanza fondamentale in sé, ma anche un pre-requisito, una condizione per realizzare una partnership efficiente ed efficace: i problemi irrisolti su questo piano finiscono per essere d’ostacolo allo sviluppo di relazioni veramente produttive.

Si aggiungano poi: le difficoltà che attualmente gravano sui mercati e sulle imprese;  la massa imponente di risorse in gioco (il trade spending è la più alta voce di costo per l’idm, il doppio o il triplo degli investimenti pubblicitari, che sono la seconda); il numero decisamente rilevante di imprese che – secondo le indagini della Commissione UE – lamentano pratiche commerciali scorrettee che rinunciano ad attivare forme di contrasto per il timore di ritorsioni.  Infine, il fatto che anche gli stessi distributori, in diversi casi, esprimano l’auspicio che un’adeguata Regolamentazione assicuri loro una corretta concorrenza orizzontale.

Tutto questo dovrebbe convincere della necessità di concordare forme di inquadramento e disciplina, riprecisando che parliamo appunto di Regolamentazione della relazione e non dei comportamenti di uno dei soggetti.

Ma dopo anni di lavoro ancora non si è giunti ad un accordo conclusivo. Il Protocollo in discussione tra le organizzazioni della DM e Federalimentare, non è condiviso da Centromarca. L’impostazione è inefficace, secondo la valutazione pressoché unanime espressa dalle nostre imprese, appositamente consultate. E’ inaccettabile – fra l’altro – il limite applicativo al solo settore alimentare e alle sole Pmi, comunque si delimiti questa categoria  (d’altro canto, le indagini UE evidenziano che anche le grandi industrie segnalano UCP, in misura non inferiore alle pmi).

La nostra proposta per un Autodisciplina dei rapporti, è di riconsiderare il Protocollo elaborato insieme in sede governativa nel 2008,  per il quale era emerso un consenso di massima di tutte le rappresentanze della distribuzione e dell’industria. Le ragioni che impedirono allora di arrivare a conclusione, potrebbero oggi risultare superate e quel consenso recuperato.

Con le Organizzazioni dei Consumatori, la ricerca di aree di convergenza e di interesse reciproco ha portato a risultati che valutiamo decisamente positivi. Centromarca si è impegnato in una funzione di “ponte”  in questo senso. Le nostre imprese si sono aperte, disponibili a farsi conoscere a fondo. Le visite all’Industria di Marca e ai suoi Centri di eccellenza, in Europa e negli Stati Uniti, consentono ai Rappresentanti dei consumatori – che ci seguono con grande interesse – una conoscenza diretta dei programmi più avanzati di ricerca e innovazione, responsabilità e sostenibilità, che formano il patrimonio del prodotto di Marca. A loro volta, le Associazioni consumeriste si sono rese disponibili ad incontri approfonditi e sistematici in Centromarca, per far conoscere alle nostre imprese posizioni e programmi su cui sono impegnate, anche in questo caso con una piena apertura al confronto.

Un ruolo importante continua a svolgere il Consumer’s Forum, luogo di incontro fra imprese e consumerismo, di studio e di progettazione comune.

Questo insieme di iniziative – all’avanguardia a livello internazionale – a noi pare abbia ridimensionato una certa diffidenza reciproca. Certo, talvolta non mancano, insieme alle convergenze, alcune dissonanze. Ma questo rientra nella naturale dialettica, che è un po’ la base su cui costruire insieme, a vantaggio del consumatore. Centromarca auspica che, ponendo al centro il Consumatore, si possa perseguire e sviluppare un percorso costruttivo, di confronto e collaborazione, in una logica di trasparenza e rispetto degli specifici ruoli.

Un percorso per certi versi analogo – comunque positivo e costruttivo – è stato seguito nei rapporti con i mezzi d’informazione. In questo caso, su di un terreno dove in passato non erano mancate criticità, abbiamo puntato a forme di collaborazione, studiate insieme, in modo da essere di comune interesse e possibilmente continuative. Insieme abbiamo: risposto ai quesiti dei consumatori nell’ambito di rubriche innovative;  coinvolto i lettori in ricerche sull’evoluzione dei consumi e degli stili di vita;  prodotto eventi informativi congiunti.

Si è dato il via ad una serie di incontri fra i manager dell’industria di marca ed i protagonisti dell’informazione, creando occasioni di conoscenza, scambio di valutazioni e di utili indicazioni. Il risultato, in questi anni, è stato una copertura eccellente, sia in termini quantitativi che qualitativi, che ci ha consentito di dare evidenza al ruolo della Marca, con i suoi valori distintivi, nell’economia e nella società.

Abbiamo verificato le nostre valutazioni positive con apposite ricerche. Con GPF sui professionisti dell’informazione, dai quali emerge l’apprezzamento per modalità d’incontro che consentono: di dialogare con chiarezza e confronto costruttivo; di individuare e sviluppare interessi convergenti tra idm, media e pubblico; di instaurare un reale rapporto fiduciario.

Nel contempo l’Osservatorio di Pavia, analizzando l’output comunicativo che ha fatto seguito a questo tipo di relazione, rileva un mutato atteggiamento dei media nei confronti del brand, che ha portato alla drastica riduzione delle criticità rilevate in passato dalle analisi dell’Osservatorio. L’ “indice di favore”  nei confronti del pdm e dei valori ad esso connessi è fortemente aumentato, fino a raggiungere una positività dell’80%, con atteggiamenti negativi marginali.

Tutto questo concorre ad evidenziare l’impegno delle nostre imprese, contribuisce all’atteggiamento del pubblico verso la Marca, costantemente positivo secondo le rilevazioni dei principali istituti. Si riafferma così – nonostante le criticità di una crisi pervasiva e perdurante – la centralità della Marca nei mercati dei beni di consumo in Italia, con una quota complessiva intorno al 70%, di gran lunga la più alta fra i Paesi industrializzati. 


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