Condividiamo le considerazioni del Presidente Francesco Mutti, proposte in occasione dell’apertura della 31a edizione degli “Incontri IdM – GDO” (4 – 5 ottobre 2022)
Gli anni 20 sono anni complessi. Dopo un periodo lungo un ventennio, che seppur non esente da crisi ci aveva abituati ad un mondo più lineare e relativamente prevedibile, gli anni 20 si sono impegnati per sorprenderci, purtroppo raramente in modo positivo. Abbiamo iniziato questo periodo di tempesta con una pandemia, che ci ha costretto a nuovi modi di vivere e di lavorare. Ad oggi non è ancora terminata, è stata semplicemente archiviata solo per urgenze più gravi.
Incredibilmente lo scenario che si prospetta dinnanzi a noi rischia di travolgerci ancora più di quanto non sia stato il periodo trascorso. Il conflitto all’interno dell’Europa ci riporta a secoli trascorsi che pensavamo dimenticati. Dalla caduta del Muro di Berlino ci eravamo immaginati un percorso nel quale l’eliminazione delle barriere avrebbe permesso di vivere in un mondo più coeso, dove i confini nazionali sarebbero stati perimetri di demarcazione di leggi, di usi, di lingue diverse, non di armi e di aggressioni.
Purtroppo, già con gli attentati dell’11 settembre ci eravamo resi conto che il Mondo non andava unitariamente in quella direzione. Abbiamo sperato che si trattasse di residui focolai, di visioni antiche ancora non completamente sopite. Con il tempo, viceversa, ci si è resi conto che la parte di mondo ancora legato all’uso della violenza per l’affermazione della propria forza non si limitava a pochi casi, ma era un proposito reiterato anche da Nazioni che sembravano aver abbracciato, se non la democrazia, quantomeno una visione pacifica della coesistenza dei popoli.
Una guerra è oggi dentro il nostro continente. Una guerra che già di per sé è catastrofe per l’illogico prezzo umano.
Una guerra che rischia di subire una escalation non controllata ed inimmaginabile. Una guerra che per noi fortunati che forse non ne saremo toccati direttamente ci porterà comunque a dover modificare il nostro stile di vita, quantomeno per le ricadute economiche.
Già la pandemia aveva minato le nostre filiere, rendendo il nostro lavoro sempre più complesso, con un costante susseguirsi di improvvise mancanze di prodotti, di semilavorati, di ingranaggi e di materie prime che da beni disponibili sono improvvisamente diventati oggetti rari. Il valore della manifattura, del nostro fare, del nostro produrre sono diventati più incerti, assai più faticosi, ma non per questo sono stati al momento correttamente valorizzati, come se una parte di mondo non si rendesse conto di queste nostre difficoltà oggettive.
In aggiunta una spinta inflazionistica, che forse non ha eguali si sta manifestando lungo le nostre filiere, nelle nostre aziende, creando, insieme ad un verticale inasprimento delle condizioni dei tassi di interesse un cambiamento radicale della capacità non solo competitiva, ma di sopravvivenza dell’industria stessa. In questo contesto inflattivo, infatti, la Banca Centrale Europea e la Federal Reserve stanno rispondendo con un innalzamento dei tassi d’interesse che impatterà inevitabilmente sui piani d’investimento dedicati alla ricerca, allo sviluppo, alla creazione di posti di lavoro. E quindi sulla competitività, in particolare delle aziende di Marca, ma più in generale sulla capacità del sistema di generare ricchezza, e non solamente di scivolare verso una commoditizzazione che prevede solamente un impoverimento economico, culturale e sociale.
In questo contesto sarà ancora più importante sapere marcare le differenze. Chiedere che il perimetro di legalità nel quale si muovono quelle aziende che possono e vogliono essere identificate da una Marca non subiscano una concorrenza sleale da parte di quelle realtà che – mimetizzandosi dietro l’etichetta di semplici produttori – non possano godere di spazi di libertà o meglio di possibili infrangimenti delle leggi. Perché questa non è capacità competitiva. È concorrenza sleale derivante dal non rispetto della legge.
In questi mesi Centromarca è intervenuta nel dibattito pubblico sulle priorità del Paese, portando tra gli altri il tema della legalità. Il valore del rispetto delle norme quale base per una corretta competizione. Si è interfacciata con i media, ha potenziato le relazioni con gli esponenti delle istituzioni e della politica, supportata da studi congiunturali che hanno documentato agli stakeholders le difficoltà dello scenario in cui operano le imprese del largo consumo e le esigenze da soddisfare. Abbiamo portato avanti, in questo caso fianco a fianco con la distribuzione moderna, una proposta che prevedesse la riduzione temporanea dell’IVA al fine di ridurre la pressione inflazionistica, permettendo al consumatore un periodo di adattamento più lungo, riducendo il prevedibile impatto sui consumi.
Il nostro Paese è un paese che non può trincerarsi dietro produzioni di massa senza valore aggiunto. Non ne abbiamo la struttura economica, la dimensione geografica, la cultura che invece è da sempre sinonimo di qualità. Di alta qualità. Lo svendere tale attitudine non permette all’Italia di valorizzare i propri prodotti. Un Paese che anche a causa dell’alto debito non può permettersi di non crescere.
In questi giorni salutiamo un Esecutivo che, permettetemi una nota che forse da apolitico Presidente di Centromarca non dovrei fare, ha fatto tanto per il Nostro Paese. Il Governo Draghi ha lasciato in eredità un Pil in crescita al +3,4% (sorprendente se paragonata alle difficoltà di altre economie, come quella tedesca), un debito pubblico in calo (10 punti i meno rispetto al 2020), una credibilità di cui forese non godevamo dai tempi di De Gasperi, con effetti positivi sulla capacità di trattenere ed attrarre gli investitori. Anche il tasso di occupazione (60%) è ai massimi dal 1987. Questo governo è riuscito a raggiungere i 45 obiettivi messi in programma nel I° semestre 2022 per l’implementazione del Pnrr, ovvero dello strumento creato per dare slancio a investimenti pubblici, investimenti privati e creazione di capitale umano. Oggi il raggiungimento della rimanente parte rappresenta un obiettivo che non possiamo permetterci di non completare, ma c’è ancora molto lavoro da fare per creare un’economia più competitiva e sostenibile in una società più ricca e nel contempo più equa.
Oggi dopo aver riconosciuto il merito al Governo uscente porgiamo i nostri migliori auguri a quello che sarà il nuovo Governo, qualunque esso sia. Sapendo che ha dinnanzi sfide difficilissime: i costi del gas e dell’energia elettrica sono cresciuti a livelli insostenibili. Nemmeno durante lo shock petrolifero degli anni ‘70 sono stati toccati livelli del genere. È più che mai indispensabile – direi strategico per il futuro della nazione – applicare un tetto al prezzo del gas, procedere al disallineamento tra prezzo del gas ed elettricità, aumentare il ricorso a fonti nazionali, procedere con l’installazione dei rigassificatori e approcciare il nucleare.
Abbiamo scoperto, qualora ve ne fosse bisogno, che, come nelle aziende, così in una Nazione la competenza non è un valore: è il valore. Competenza e serietà. Non una lunga serie di motivi per cui le azioni non possono essere fatte, Non una lunga serie di motivi per cui ad un rigassificatore, essenziale per la nostra sopravvivenza, debba essere opposta la sospensione per la scelta di un colore. Non è questo governare una Nazione. Ci auguriamo che il nuovo Esecutivo operi all’insegna di un accurato lavoro di analisi, pianificazione ed esecuzione. E tenga conto delle osservazioni che abbiamo trasferito nei mesi scorsi. Taglio dell’IVA, riduzione del Cuneo fiscale ed azioni a supporto della domanda.
Le previsioni dicono che il prossimo anno sarà contraddistinto da un calo del prodotto interno lordo, accompagnato da aumento dei tassi, che porterà inevitabilmente a tensioni sul debito sovrano, riducendo in modo importante gli spazi di manovra del governo. Per questo vorremmo vedere proposte di politica industriale che spieghino quale sarà l’Italia da qui al 2027. Abbiamo bisogno di un governo che governi per tutta la durata della legislatura, portatore di una visione di lungo termine, di stabilità e di certezza delle regole del gioco. Su questi elementi d’interesse nazionale auspichiamo convergano tutte le forze politiche presenti in parlamento. Provvedimenti per la crescita dovrebbero essere parte di un più ampio piano industriale nazionale di lungo termine che favorisca investimenti nei settori strategici e non disperda risorse – lo ribadiamo ancora una volta – su comparti che non contribuiscono alla crescita del Paese.
Ma veniamo alla XXXI edizione degli incontri IdM/Gdo che sta per iniziare. Ai lavori partecipano 1000 manager in rappresentanza di 180 aziende associate. È la quasi totalità e questo dà l’idea dell’interesse che l’appuntamento riveste per il mondo industriale. Inoltre, diversi manager della distribuzione, al di là delle presenze ufficiali in programma, seguiranno la sessione di apertura degli incontri che inizierà tra poco. Con loro condivideremo le informazioni che scaturiranno dalle relazioni di base e dal dibattito. Ci auguriamo che le evidenze possano costituire un’agenda setting di riferimento per il prosieguo dei lavori.
Il largo consumo confezionato è un settore maturo e fino al 2020 è stato abituato a gestire un mercato saturo e a crescita lenta, con bassa inflazione e costo del denaro contenuto. Con la pandemia e gli eventi successivi, siamo passati ad un contesto di alti e bassi nei cicli di mercato, grande volatilità, inflazione elevata e politiche monetarie restrittive. È un ambiente di competizione allargata che richiede di prestare la massima attenzione a tre aspetti. Innanzitutto, le capacità intrinseche delle aziende: serve un salto quantico in termini di agilità e snellezza nelle risposte al mercato, nell’evoluzione delle strutture organizzative, nel potenziamento delle skills professionali e manageriali dei collaboratori. Conta poi la qualità del rapporto con i canali di vendita. Relazioni moderne e innovative poggiano innanzitutto sulla sintonia di prospettive competitive e sulla complementarità degli orientamenti strategici di fondo delle imprese fornitrici e di quelle clienti. Serve un’azione tesa alla difesa del valore, al sostegno delle politiche di sostenibilità e della trasformazione digitale, indispensabile per potenziare la customer experience. Infine, ma ovviamente non per ultimi, contano i fondamentali del business. Non possiamo dimenticare che la filiera italiana è di gran lunga tra le più inefficienti. È una situazione in cui la fragilità delle piccole dimensioni d’impresa corre il rischio di essere fatale, soprattutto in fasi di difficoltà come quelle attuali.
La prima risposta a questo nuovo scenario è dunque una politica determinata e coerente di riduzione costi improduttivi e di ricerca dell’efficienza. La seconda interessa le economie di scala: crescita dimensionale e consolidamento degli assetti dovrebbero essere una stella polare se si vuole conservare e potenziare la capacità del nostro sistema dei beni di consumo di essere attrattivo e competitivo nel mercato domestico ed in quello internazionale. Di tutte queste evidenze dovremo tenere conto nel corso dei lavori di oggi e di domani. Tenendo presente un fatto incontrovertibile, che voglio evidenziare con grande chiarezza: nello scenario attuale è drammaticamente concreto il rischio desertificazione del settore industriale del largo consumo confezionato.
I costi sono insostenibili. Fino ad ora l’inflazione che si è abbattuta sulle nostre aziende è stata solo parzialmente scaricata a valle, a prezzo di grandi sacrifici. Siamo in una situazione di forte sofferenza e non trasferire i costi al mercato significherebbe pregiudicare il futuro delle nostre imprese, insieme a centinaia di migliaia di posti di lavoro. Vogliamo mettere in discussione la sopravvivenza di un comparto fondamentale per garantire alle famiglie la disponibilità di beni primari e la competitività della Nazione? Come imprenditori e manager dell’Industria di Marca – come i nostri partner della moderna distribuzione – sappiamo di avere grosse responsabilità nel garantire prodotti di qualità e al giusto prezzo al consumatore, ma anche nei confronti dei nostri lavoratori e in modo più ampio rispetto al Paese.
Credo che questo significhi pensare in modo meno muscolare, più responsabile e focalizzare l’attenzione sugli effetti di quello che sapremo esprimere nel corso della stagione contrattuale.