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Centromarca - associazione italiana dell'industria di marca

Interventi

La relazione del presidente Luigi Bordoni all'Assemblea 2012


In presenza di un quadro complessivo di recessione per l’Eurozona, l’Italia è fra i pochi paesi che mantengono prospettive negative anche per il 2013. In parallelo prosegue la rimodulazione dei consumi, indotta dalla contrazione del reddito disponibile delle famiglie.

L’andamento dei prezzi – in crescita nell’ultimo triennio – resta al 3% anche nelle previsioni del prossimo anno, superiore al livello delle economie europee più competitive. Ma occorre notare, ancora una volta, che questa dinamica inflattiva è la risultante di andamenti molto divaricati: molto contenuta per i beni di consumo; in forte crescita per i settori protetti dalla concorrenza, che comprendono servizi e
spese obbligate: fattore che ridimensiona capacità di spesa delle famiglie e domanda dei beni di consumo. Denunciamo da molto tempo la necessità di aprire questi settori al mercato: un’esigenza solo parzialmente assicurata dalle misure di liberalizzazione adottate dal Governo.

Un colpo gravissimo ai consumi verrebbe dal prospettato nuovo aumento delle aliquote IVA: nostri studi recenti mostrano che avrebbe effetti aggiuntivi gravi a livello di prezzi, consumi, prodotto e occupazione, alimentando fortemente la spirale recessiva. Non possiamo che apprezzare l’impegno ribadito dal Governo per evitare tale misura.
Analogo impegno ci attendiamo nei confronti delle bizzarre proposte difood taxantiobesità, che produrrebbero effetti simili, per di più secondo una logica incomprensibile, che vorrebbe risolvere con inasprimenti fiscali problemi di educazione alimentare. Comunque, altri aggravi di imposte sui beni di consumo porterebbero ad una nuova riduzione della domanda e quindi del gettito fiscale preventivato: esattamente come già è avvenuto per la prima parte dell’anno.
Si attendono invece, con sempre maggior impazienza consistenti tagli alla spesa pubblica improduttiva, insieme ad una lotta senza quartiere all’evasione fiscale: due enormi contenitori ai quali è doveroso attingere per nuove risorse.
Le difficoltà della domanda interna si riflettono nei risultati della nostra filiera. L’andamento delle vendite nella distribuzione Moderna è in sofferenza; i volumi sono in flessione nonostante il contenimento dei prezzi assicurato dalla forte concorrenza che caratterizza i nostri settori ed all’impegno delle imprese. Le vendite a parità di rete decrescono da un quinquennio; ad eccezione dei Discount che traggono vantaggio dallo spiccato orientamento alla convenienza e dalla semplificazione dell’offerta. Le performance dei singoli gruppi distributivi mostrano ormai da tempo un’accentuata divaricazione, con alcune imprese che crescono ed altre in sofferenza.

Per l’Idm, le limitazioni della domanda si sono accompagnate a significative turbolenze sul versante degli approvvigionamenti, con rilevanti e ripetuti aumenti delle materie prime e dei costi di energia e carburanti. Ne ha risentito, ovviamente, la struttura del Conto Economico delle nostre imprese. Esso registra poi un aumento del trade spending, che continua a crescere, come se l’industria potesse generare risorse da investire nella contribuzione commerciale, indipendentemente dagli effettivi andamenti di mercato. Ma poiché così non è, l’Idm – dopo aver fatto ricorso alla ricerca di massima efficienza – è dovuta passare al contenimento degli investimenti in pubblicità e comunicazione, con un danno alle possibilità di sviluppo dei consumi e rischi per l’equity del brand. L’andamento delle vendite nel largo consumo, in tenuta a valore ed in leggera flessione a volume, è critico, ma appare meno grave a paragone con i beni durevoli, con picchi di decremento anche a doppia cifra. Si conferma e si amplia la divaricazione delle performances delle nostre imprese. E’ un quadro che prescinde dai settori e dalle dimensioni. Quindi fa emergere l’importanza delle scelte e delle strategie vincenti pur restando ovviamente determinanti lo sviluppo del contesto economico e le misure in grado di favorire il rilancio della domanda. La marca conferma la sua centralità nelle preferenze dei consumatori, con una quota di mercato che resta vicina al 70%. La crescita delle Private Label avviene senza grandi accelerazioni, nonostante le difficoltà del momento e le politiche di offerta dei distributori, i quali accordano un significativo privilegio alle marche proprie, in alcuni casi con grave riduzione delle possibilità di scelta del consumatore.
La quota media delle Private Label resta di gran lunga la più bassa in Europa.

In un quadro di generale e perdurante rallentamento dei consumi, ancora una volta si conferma la tenuta del prodotto di marca, mentre il downgrading qualitativo delle scelte si concentra per lo più nella fascia, purtroppo non piccola, di consumatori che maggiormente si confrontano con situazioni di necessità. Queste evidenze trovano riscontro nelle analisi qualitative degli atteggiamenti e comportamenti di consumo e nei contributi dei diversi Istituti all’Osservatorio del Consumatore di Centromarca. Analisi che concordano nel prospettare aree di opportunità per l’idm, rilevando innanzitutto la centralità della ricerca attenta e critica diqualità, in un’accezione articolata e ricca di valenze. A questo proposito è particolarmente significativo lo studio di Cermes-Bocconi sui bisogni e valori associati dai consumatori ai propri acquisti, con un raffronto fra la situazione pre-crisi e quella odierna: la convenienza diventa criterio di scelta pressochè generale, ma la qualità che era al primo posto, non solo non arretra, ma diventa il principale riferimento per tutti, il che significa che anche laddove non è raggiungibile, resta comunque una forte aspirazione. Nel contempo si attribuisce rilevanza ai valori di corporate, all’impegno nella direzione della sostenibilità, sino agli atteggiamenti dell’impresa nei confronti di quanto di più importante accade nella società. Prende corpo un fenomeno che da tempo registriamo e che è ben evidenziato in un’analisi Ipsos: il clima di insufficienza della dimensione politica e istituzionale lascia spazio all’apprezzamento nei confronti del ruolo che le imprese possono svolgere per fare ripartire il Paese: sono risultati che ribaltano la scala di valori che eravamo soliti riscontrare in passato, con l’impresa sempre agli ultimi posti nella fiducia dei cittadini. Risultati inediti in un Paese la cui Costituzione cita per decine di volte il lavoro e le organizzazioni sindacali e non una sola volta l’impresa. E ancora, riferendosi più direttamente alle nostre imprese, l’istitutoEpistemeparla di necessità per l’idm di farsi empatica col suo pubblico, interpretando un ruolo costruttivo e volto al futuro, in un momento di depressione generale, proponendo il concetto di “cittadinanza della Marca”. Ed il Censis rileva che “in un quadro di crescente richiesta di valori, vi è bisogno di entità credibili, che si meritino fiducia sul campo, attraverso attività veramente allineate alle attese della gente…Una direzione nella quale si prospettano rilevanti opportunità per i grandi marchi”. Di fatto, sono aspettative che generano sostegno e promozione per i valori della Marca e corrispondono ai suoi asset fondativi: innovazione continua, qualità dinamica, affidabilità, garanzia e multiforme responsabilità.

Il prezzo continua a rappresentare una leva fondamentale, ora con una valenza anche simbolica, di vicinanza, in particolare alle fasce più deboli. A questo proposito, l’industria di Marca dovrà meglio evidenziare gli sforzi compiuti per rendere accessibile economicamente la propria offerta. In ogni modo, occorre che la filiera non esasperi la ricerca del prezzo sempre più basso e a tutti i costi: una strategia insidiosa, della quale abbiamo ripetutamente denunciato i rischi e le conseguenze negative per tutti, consumatore compreso.

Il nostro principale ambito di intervento – le Politiche Commerciali e i rapporti fra industria e distribuzione – da mesi è dominato dalle questioni connesse alla nuova“DisciplinadelleRelazioni Commerciali nella filiera alimentare”,varata dal Governo Monti con ilD.L. Liberalizzazioni, nel gennaio scorso.L’ormai famosoart. 62.L’obiettivo perseguito dal Governo è dichiaratamente quello di assicurare rapporti contrattualitrasparenti,corretti,equilibrati, in modo da evitare derive eccessivamente condizionate da rapporti di forza, spesso sbilanciati.
Conseguentemente, si vieta una serie di condizioni: ingiustificatamente gravose… extracontrattuali… che non abbiano connessione con l’oggetto dei contratti… volte a conseguire indebite prestazioni unilaterali…recependo la formulazione della Commissione UE e accordi industria/distribuzione su scala europea.
I pagamenti devono essere effettuati entrotermini prescritti(30/60 giorni), così come prescritte sono le modalità applicative degli interessi in caso di ritardo.
Gli aspetti più innovativi – e per certi versi dirompenti – della Disciplina, sono le modalità fortemente vincolanti previste per l’implementazione:

  • Le condotte che violano principi fondamentali o che configurano abuso di posizioni di forza, vengono a costituire illeciti amministrativi, attraverso norme non derogabili dalle parti, accompagnate da elevate sanzioni pecuniarie
  • In particolare, sono inderogabili i termini massimi di pagamento.
  • Si stabilisce una duplice competenza per l’applicazione: del Giudice ordinario e dell’Autorità Antitrust, che possono procedere anche d’ufficio o su denuncia di qualunque soggetto.

 

Il legislatore ha ritenuto, quindi, che l’interesse da tutelare abbia una doppia natura: non solo privata, ma anche pubblica, in quanto possibili squilibri negoziali impattano dinamiche di mercato e interessi del consumatore. Squilibri che facilmente possono emergere in una filiera dove si rapportano, ai diversi livelli, grandi e piccoli operatori, sia della produzione che della distribuzione.
L’Italia, che era da tempo l’unico dei grandi paesi europei privo di un inquadramento normativo specifico, si avvicina ora alle discipline più prescrittive. E per una volta anticipa disposizioni comunitarie. A fronte di norme, che innovano profondamente una materia tanto complessa e nel contempo vitale per le imprese, le reazioni dei diversi settori ed operatori non potevano che essere contrastanti. Su tutte, è emersa la durissima posizione della Distribuzione Moderna: quasi che le nuove disposizioni si riferissero ai soli suoi comportamenti e non invece – come di fatto è – a tutti i soggetti e a tutti i rapporti della filiera.
Peraltro, questa caratteristica differenzia la nostra normativa da quelle in vigore in altri grandi paesi, rivolte direttamente al “controllo del potere di mercato” della GD.
Questo rende ancor meno comprensibili le forti proteste dei Distributori, che inevitabilmente hanno finito col porre sotto i riflettori proprio i loro rapporti con i fornitori.
A noi dispiace particolarmente che queste proteste si siano estese anche nei confronti delle rappresentanze industriali – come Centromarca – portando quasi tutti i Distributori a disdire la partecipazione a questa Assemblea. Incontri come questo dovrebbero essere, invece, occasioni di comprensione della posizione dei partner di mercato e di confronto, anche duro, ma costruttivo. Per una valutazione puntuale e definitiva della Disciplina, occorrerà attendere i Decreti Attuativi e le prime fasi applicative.

Alcune considerazioni, però, possono essere sviluppate sin d’ora.

1) Per prima cosa devo ricordare che Centromarca si è costantemente impegnato per soluzioni di Autoregolamentazione (dei rapporti Idm/Gdo), ritenendola più appropriata alla complessità della materia, più flessibile e più adattabile alle diverse situazioni di mercato. Ma quattro anni di lavori infruttuosi in questa direzione, hanno evidenziato l’impossibilità o l’incapacità o forse la non volontà, di arrivare a risultati concreti e realmente efficaci. Anche la proposta da noi formulata esattamente nell’Assemblea dello scorso anno – affinchè si riprendesse il Protocollo concordato in sede governativa nel 2008 ed accantonato per motivi ora superabili – è caduta nel vuoto. Si sarebbe potuto evitare l’intervento legislativo, soluzione non ottimale anche nella valutazione di ambienti governativi.

2) Intervento legislativo era peraltro ampiamente prevedibile e previsto.

 

Nella stessa Assemblea di un anno fa e in molte altre occasioni, Centromarca mentre sollecitava l’Autodisciplina, poneva all’attenzione del trade:

  • il disagio di ampi settori produttivi;
  • le contribuzioni al trade ormai imponenti e sempre crescenti;
  • leunfair commercial practices  rilevate dalle indagini della Commissione UE e della Autorità Antitrust: pratiche non rimediabili attraverso gli strumenti legislativi disponibili e“idonee a produrre un artificioso innalzamento d  ei costi dei produttori e quindi dei prezzi di cessione”;
  • le normative sempre più stringenti adottate dai principali paesi europei: anche notevolmente limitative della libertà contrattuale (soprattutto in Francia, ma più recentemente anche nel Regno Unito);
  • gli accordi di Autodisciplina, sollecitati o pretesi dai governi e affiancati da enforcement pubblico o arbitrale (come in Spagna).

 

Tutte queste argomentazioni evidenziano la prevedibilità, ma anche l’inevitabilità della regolazione emanata, a tutela dell’equilibrio del sistema e dell’interesse generale. Essendo questa la caratteristica dell’intervento, per dare una valutazione di merito, non ci si può attenere al (solo) calcolo vantaggi/svantaggi per la singola azienda o per lo specifico settore: non possono che derivarne posizioni contrastanti – come si diceva – a seconda del potere di mercato più o meno forte. Occorre invece valutare se la norma corrisponda alle esigenze del sistema e all’interesse generale, con i suoi obiettivi, principi, obblighi.
La posizione dell’idm in questo senso è complessivamente positiva.

Altrettanto positiva la valutazione circa l’opportunità di misure cogenti per garantire l’implementazione, necessarie in una filiera caratterizzata da rilevanti squilibri ed asimmetrie nei rapporti di forza. E a questo proposito, va detto che sarebbe assai grave se i soggetti più forti tentassero di imporre nei rapporti, forme di compensazione a fronte degli obblighi derivanti dal nuovo regime. Resterebbe semmai un elemento di discriminazione incomprensibile, se, almeno in prospettiva,  non fossero ricompresi nella disciplina i beni di largo consumo non alimentare, che si trovano nella stessa identica situazione di mercato. In conclusione: il cambiamento genera inevitabilmente: complessità nella fase introduttiva; tensione fra i diversi soggetti; criticità per alcuni operatori.
D’altro canto, la necessità di comportamenti rigorosi, insieme all’impossibilità di riversare su altri il proprio rischio d’impresa, sono principi sacrosanti, ma anche fattori di selezione sul mercato. Una volta entrato a regime, comunque,  il nuovo sistema dovrebbe dare un apporto rilevante alla costruzione di relazioni di filiera più certe, trasparenti, efficienti, decisamente rivolte all’efficacia dell’offerta e alla creazione di valore, strada obbligata per uscire dalle strettoie in cui da tanto tempo ci troviamo e per contribuire alla ripresa della domanda.

In questa prospettiva,– dando priorità all’interesse generale e di sistema – il comparto dei beni di consumo – complessivamente il più importante e pervasivo – ha l’opportunità di assicurare un contributo, non piccolo, al cambiamento al quale il Paese è chiamato e alle trasformazioni dell’economia e della società troppo a lungo rinviate e che sono condizione per arrivare finalmente al rilancio e alla crescita, in un contesto più moderno e virtuoso.

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