Il Commissario europeo all’Agricoltura Phil Hogan ha presentato una proposta legislativa per stabilire standard minimi comuni nelle normative nazionali di contrasto alle pratiche sleali nella catena di approvvigionamento alimentare.
Relatore del progetto è Paolo De Castro, Vice Presidente della commissione Agricoltura, che – dopo una fase di approfondito ascolto degli operatori della filiera nei Paesi dell’Unione, tra cui anche Centromarca – ha introdotto alcune integrazioni al testo iniziale, destinate a migliorarne l’efficacia. In particolare, in questa nuova versione viene superata la circoscrizione della norma alle sole Pmi ed estesa la protezione legislativa a tutte le imprese, indipendentemente dal fatturato.
Secondo Centromarca, la Proposta De Castro è un passo in avanti nella correttezza delle relazioni commerciali nella filiera agroalimentare. Positivo è il superamento del limite di applicazione della normativa: numerose evidenze di mercato, in Italia e in Europa, dimostrano come anche aziende di grandi dimensioni possano essere vittime di pratiche commerciali scorrette.
Il contrasto alle UTPs è tanto più attuale alla luce delle recenti notizie di aggregazioni internazionali tra retailer che hanno il dichiarato obiettivo di accrescere il potere contrattuale proprio nei confronti dei fornitori più grandi.
Il Parlamento Europeo, nella seduta del 24 ottobre, ha approvato a larghissima maggioranza (430 voti favorevoli, 170 contrari) il testo presentato dall’On. De Castro che supera i limiti di applicazione della norma alle sole PMI e ricomprende imprese di qualunque dimensione. Ora l’iter entra in una nuova fase e già nei prossimi giorni sono programmati incontri di negoziazione (Triloghi) con il Consiglio e con la Commissione UE.
Qui di seguito, riportiamo le motivazioni del disegno di legge indicate nel documento di De Castro.
“In un contesto di politica agricola ormai decisamente più orientato al mercato, la buona ed equa gestione della filiera agricola e alimentare ha acquisito un’importanza fondamentale per tutti gli attori coinvolti, in particolare per i produttori agricoli. Questi ultimi sono particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali, in quanto sono spesso privi di un potere contrattuale che corrisponda a quello dei loro partner che acquistano i loro prodotti. Ciò è dovuto principalmente alle limitate alternative di cui dispongono per fare arrivare i loro prodotti ai consumatori finali, nonché alle carenze strutturali del sistema agricolo rispetto ai suoi partner a valle.
Le pratiche commerciali sleali possono esercitare pressione sui profitti e i margini degli operatori, il che può condurre all’uscita dal mercato di operatori altrimenti sani e competitivi. Ad esempio, riduzioni unilaterali del quantitativo contrattuale di merci deperibili comportano il mancato guadagno di un operatore che non potrà trovare facilmente uno sbocco alternativo per tali merci. I ritardi di pagamento dei prodotti deperibili dopo che sono stati consegnati e venduti dall’acquirente costituiscono un costo finanziario supplementare per il fornitore. Gli eventuali obblighi dei fornitori di riprendere i prodotti non venduti dall’acquirente possono costituire un indebito trasferimento del rischio sui fornitori. L’obbligo di contribuire ad attività promozionali generiche all’interno dei punti di vendita dei distributori senza trarne un beneficio equo può ridurre indebitamente il margine dei fornitori.
Secondo l’opinione prevalente, le pratiche commerciali sleali sono diffuse in tutta la filiera alimentare. È significativo che dal 2009 la Commissione ha pubblicato ben tre comunicazioni incentrate sulla filiera alimentare e riguardanti anche le pratiche commerciali sleali. Nel giugno 2016 il Parlamento ha adottato una risoluzione invitando la Commissione a presentare una proposta relativa a un quadro giuridico dell’Unione in materia di pratiche commerciali sleali. Nel dicembre 2016 il Consiglio ha invitato la Commissione ad avviare una valutazione d’impatto al fine di proporre un quadro legislativo dell’Unione o misure non legislative per affrontare il problema delle pratiche commerciali sleali.
In 20 Stati membri esistono già norme specifiche in materia di pratiche commerciali sleali. Tuttavia la loro eterogeneità è significativa. In alcuni di essi la tutela contro tali pratiche è assente o inefficace. Un altro strumento esistente è l’iniziativa facoltativa della catena di fornitura (Supply Chain Initiative – SCI), che è una iniziativa del settore privato che mira a disciplinare le pratiche commerciali sleali e offre un forum per la risoluzione rapida e non contenziosa delle controversie. Ѐ improbabile, tuttavia, che la SCI diventi un ampio quadro di governance, in quanto la partecipazione alla SCI è su base volontaria ed essa non copre al momento tutti gli operatori della filiera alimentare. Ad esempio, i rivenditori al minuto sono membri della SCI, mentre le “alleanze di acquisto dei rivenditori” e le organizzazioni che rappresentano i produttori agricoli non vi partecipano. Queste ultime non hanno aderito alla SCI poiché, a loro parere, essa non garantisce una riservatezza sufficiente per le parti denuncianti e non prevede indagini indipendenti o sanzioni.
Per questi motivi, la presente proposta della Commissione sulle pratiche commerciali sleali risponde a una domanda forte e di lunga data da parte della comunità agricola europea e alla convinzione che gli agricoltori debbano essere meglio protetti contro le pratiche abusive di trasformatori e rivenditori. Si può sostenere che l’assenza, finora, di un quadro comune in materia di pratiche commerciali sleali contrasti con gli altri settori disciplinati dalla PAC che hanno rilevanza diretta per gli operatori, quali le disposizioni sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato e le norme sulla commercializzazione. Per tali settori il regolamento (UE) n. 1308/2013 sull’organizzazione comune dei mercati stabilisce norme comuni applicabili alle condizioni di mercato che gli operatori affrontano nell’UE, al fine di contribuire alla coesione economica e sociale, nonché alle condizioni di parità nel mercato unico.
La presente proposta di direttiva mira a ridurre le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare mediante l’introduzione di un livello minimo di tutela comune a tutta l’UE comprendente un breve elenco specifico di pratiche commerciali sleali vietate. La tutela si applica ai fornitori della filiera alimentare, nella misura in cui questi vendano prodotti alimentari ad acquirenti che non sono di piccole o medie dimensioni. Con questo ambito di applicazione si intende contribuire ad assicurare un tenore di vita equo alla comunità agricola, realizzando in tal modo uno degli obiettivi della PAC ai sensi dell’articolo 39 del TFUE.
L’articolo 43 del TFUE, quale principale base giuridica della PAC, costituisce l’unica base giuridica della proposta della Commissione. Le misure previste nella proposta riguardano le pratiche commerciali sleali che si verificano nella filiera agricola e alimentare in relazione al commercio di prodotti che originano presso i produttori agricoli. Occorre osservare che a norma dell’articolo 38, paragrafi 2 e 3, del TFUE la PAC riguarda principalmente i prodotti agricoli elencati nell’allegato I del trattato medesimo. Tuttavia la Corte di giustizia dell’Unione europea ha confermato esplicitamente che i prodotti alimentari non elencati nell’allegato I del TFUE (i prodotti enumerati nell’allegato sono considerati “prodotti agricoli” ai sensi del trattato) possono essere coperti da atti adottati a norma dell’articolo 43 del TFUE se ciò contribuisce alla realizzazione di uno o più degli obiettivi della PAC e se i suddetti atti riguardano essenzialmente prodotti agricoli1.
Inoltre un approccio volto a tutelare i produttori agricoli e le loro associazioni (cooperative e altre organizzazioni di produttori) deve tenere conto anche degli effetti negativi indiretti che questi possono subire a causa delle pratiche commerciali sleali che si verificano a valle nella filiera alimentare, ossia a causa di operatori che, pur non essendo agricoltori, occupano una posizione contrattuale debole a valle della filiera e sono pertanto più vulnerabili a tali pratiche. La tutela dei fornitori a valle contro le pratiche commerciali sleali impedisce che gli agricoltori subiscano conseguenze indesiderate dovute al reindirizzamento di operazioni commerciali verso concorrenti che sono di proprietà di investitori – ad esempio nella fase di trasformazione – e che non godrebbero di alcuna tutela (ad esempio, un rischio giuridico minore per gli acquirenti che devono far fronte ad accuse di pratiche commerciali sleali).
La Commissione evidenzia inoltre che le misure proposte integrano le misure esistenti negli Stati membri e il codice di condotta della SCI”.