Le previsioni economiche della Commissione europea commentano la situazione macroeconomica dei 28 paesi Ue nel corposo rapporto di 183 pagine che accompagna la pubblicazione delle stime. Le varie schede paese prendono in considerazione non solo Pil, inflazione e variabili fiscali come deficit e debito pubblico, ma anche altri indicatori di potenziali squilibri macroeconomici come il peso delle componenti della domanda e i conti con l’estero.L’impiego di tanti indicatori per monitorare la sostenibilità delle politiche macroeconomiche dei paesi è la cosa giusta da fare per superare l’ossessione algebrica sugli scostamenti (a volte decimali) dal fatidico obiettivo del deficit sotto al 3 per cento – la vera, se non l’unica, regola europea considerata per valutare la capacità di un paese di rispettare gli impegni da quando è cominciato il conto alla rovescia per l’adozione della moneta unica. È proprio la considerazione di un insieme più ampio di variabili – compreso lo stato di avanzamento delle riforme strutturali nazionali – che ha consentito alla Commissione presieduta da Jean-Claude Juncker di essere più elastica che in passato nel valutare gli scostamenti dagli obiettivi di deficit dei vari paesi. Da questo ripensamento esce l’agognata “flessibilità” cui il governo italiano si riferisce con frequenza.
Senza nulla togliere a questi sforzi che hanno peraltro prodotto tangibili seppur limitati risultati positivi, rimane legittimo semplificare il sofisticato quadro impiegato a Bruxelles per concentrarsi sulle variabili di finanza pubblica. Queste, infatti, rimangono in definitiva le uniche sotto il controllo – per quanto imperfetto – dei governi. E la loro evoluzione consente di fare un esercizio di check-up su come va l’euro. Per capire cioè come se la passano i paesi dell’Eurozona ora che, con la ripresa 2015-16, la crisi dell’estate 2011 è (sembra essere) alle spalle.
Facciamo un check-up dell’Eurozona
Un modo semplice per fare il check-up è quello di verificare quali paesi nel 2016 saranno in grado di raggiungere una decente crescita del Pil nominale (che somma la crescita del Pil in termini reali con l’inflazione) senza sfondare il tetto del 3 per cento. La combinazione di una rapida crescita del Pil nominale con un deficit sotto al 3 per cento descrive un paese più probabilmente incanalato su un sentiero di sostenibilità del debito pubblico.
La tabella presenta i dati che servono per l’esercizio: Pil nominale, inflazione, crescita, deficit e debito pubblico per i 19 paesi dell’Eurozona, in ordine decrescente di crescita del Pil nominale. Nelle ultime due colonne della tabella figurano le posizioni in classifica dei vari paesi per la crescita del Pil nominale e il livello del deficit in ordine inverso (i paesi con più basso deficit sono primi in classifica).
Un’unione monetaria con troppa disunione reale
La tabella contiene tre implicazioni principali. La prima è che i paesi piccoli (nonostante la loro dimensione suggerirebbe di non rinunciare a battere moneta) non se la passano affatto male all’interno dell’Eurozona. L’Irlanda ha completato un consistente aggiustamento fiscale che ha fatto ripartire la crescita e scendere il deficit e il rapporto debito-Pil. I tre minuscoli paesi baltici coniugano oggi tassi di crescita tra il 2 e il 3 per cento con deficit bassi e debiti addirittura inesistenti. Malta non ha condiviso la sorte di Cipro, che dopo il default del 2012 solo ora si sta faticosamente riprendendo. Il Lussemburgo presenta i consueti dati di stabilità fiscale. I numeri dicono che piccolo – un po’ sorprendentemente – non è brutto nell’Eurozona.
Il secondo elemento che emerge dalla tabella è che continua a esistere la cosiddetta Europacore (il nocciolo intorno alla Germania) anche se è meno granitica di un tempo. La Germania presenta una crescita del Pil nominale sopra al 3 per cento accoppiata con deficit a zero e un debito in calo verso il 60 per cento. Olanda, Austria, Belgio e Slovacchia hanno deficit più elevati, ma sotto il 3 per cento e una crescita del Pil nominale vicina al 3 per cento. L’Eurozona core presenta però due crepe: Finlandia e Francia. La Finlandia presenta dati fiscali positivi e una crescita solo flebilmente sopra lo zero. La Francia ha continuato a crescere ma solo sforando regolarmente il tetto del 3 per cento.
Infine ci sono i paesi problematici. La Grecia figura nella parte bassa di ogni classifica europea che si possa stilare ed è destinata ad altri default. Il Portogallo e l’Italia rispettano gli obiettivi di deficit, ma soffrono l’assenza di crescita degli ultimi anni che si è tradotta in un aumento del rapporto debito-Pil fino al 130 per cento. La Spagna è uscita dalla crisi ben prima dell’Italia ma la prezzo di triplicare il suo debito rispetto al 2007.
Nel complesso, l’unione monetaria continua a presentare una disunione reale tra i suoi paesi membri a cui la politica dovrà porre rimedio.