L'Opinione

Centromarca - associazione italiana dell'industria di marca

Ivo Ferrario, 14/04/2016

Quando la Csr atterra sullo scaffale


Quali opportunità può offrire ai fornitori la collaborazione in ambito Csr con le aziende della moderna distribuzione? Le presentazioni proposte dai retailer che hanno partecipato al ciclo di seminari promosso da Centromarca (fino ad ora, in ordine cronologico: Auchan, Conad, Coop e Carrefour) hanno sicuramente contribuito a rispondere a questa domanda (possono essere consultate dagli associati nell’area riservata del sito).

Al di là degli aspetti etici il tema Csr ha sempre alla sua base una giustificazione economica. Le aziende nascono per fare profitto: senza cessano di esistere. E non esistono, come più volte abbiamo affermato, aziende pienamente sostenibili. E’ corretto invece parlare di aziende più o meno orientate alla sostenibilità.

Attraverso la Csr passano importanti saving di costo (materie prime, energia, logistica, riduzione degli sprechi ecc) che in una fase di particolare pressione sui margini e sulle vendite aumentano enormemente la loro rilevanza. Sarebbe però limitante considerare gli economics il solo fattore scatenante l’interesse per un’ampia applicazione della Csr. In gioco entrano anche elementi sui quali il retailer costruisce il suo posizionamento pubblico: quindi l’innovazione e la capacità di differenziarsi rispetto alla concorrenza.

Tutte le aziende incontrate durante i seminar hanno parlato di lotta allo spreco, di qualità, di tutela della biodiversità, di attenzione al territorio, della volontà di avere relazioni più evolute con i fornitori (ovviamente “nel rispetto dei reciproci ruoli e prerogative”), di ecoefficenza, di coinvolgimento del personale in iniziative sociali, di attenzione al territorio.

Inevitabilmente le riflessioni sono poi atterrate sullo scaffale, quasi sempre sottolineando le scelte strategiche fatte sulla private label e sull’esigenza di garantire al consumatore una proposta commerciale in cui il prezzo costituisce, almeno sul breve termine, una componente rilevante, ma che ha alla base una logica proiettata sul medio/lungo termine.

Attenzione: la private label non è emersa solo come elemento di caratterizzazione assortimentale: è infatti espressa anche come leva della strategia Csr dei retailer. Un elemento fondamentale attorno al quale costruire un assortimento basato su una sua coerenza e quindi su una sua distintività. E’ anche sulla capacità di entrare in sintonia con questa coerenza che un prodotto di marca, in prospettiva, giocherà dunque il suo ruolo e la sua presenza a scaffale.

I distributori non sono in grado di lavorare sull’innovazione di prodotto specifica delle singole categorie perché non hanno competenze di categoria. Cercano dunque temi traversali su cui costruire una qualche innovazione che possa trasparire al cliente. Le varie linee bio, per celiaci e così via ne sono un esempio. Essere in grado di lavorare con il distributore su questo piano può quindi diventare un vantaggio competitivo.

Qualche esempio. Se nella catena X l’obiettivo è proporre un’offerta contraddistinta da packaging a basso impatto ambientale e facilmente smaltibili dal consumatore, perche su questo aspetto si fondano strategie di comunicazione e relazione che determinano differenziazione dell’offerta e servizio al cliente, è chiaro che i fornitori più capaci di cavalcare l’esigenza, riprogettando gli imballaggi, informando l’opinione pubblica, giocando in modo intelligente la comunicazione sul punto di vendita, potranno godere di vantaggi competitivi specifici rispetto alla concorrenza. Se un distributore esige certificazioni che garantiscano l’eticità dei prodotti che commercializza nei suoi punti di vendita, è evidente che l’accesso al lineare diventa problematico per i prodotti che non ne dispongono. Se una catena punta allo sviluppo sul punto di vendita di iniziative sociali che coinvolgono i suoi dipendenti e quelli dei fornitori, è impensabile per un’industria entrare in partnership se alle spalle non ha costruito tra i suoi dipendenti una cultura specifica e strumenti motivanti alla partecipazione attiva a questo tipo di iniziative.

E così via. La Csr è più che mai commitment, organizzazione, progettualità, esecuzione, misurazione di risultati. Non è il lavoro della funzione incaricata di coordinarla, ma di un’azienda in cui tutte le funzioni sono chiamate a contribuire al risultato.

Da queste considerazioni emerge una duplice priorità per i fornitori. La prima è presidiare saldamente l’ambito Csr, sviluppando iniziative e attività che siano comunicate al consumatore e costituiscano un solido retroterra di posizionamento pubblico da spendere positivamente anche durante la relazione commerciale. La seconda è approfondire, attraverso specifici team multifunzionali, l’attività delle diverse aziende distributive, i piani strategici in ambito Csr, i programmi annuali, con l’obiettivo di cogliere meglio e prima della concorrenza possibili opportunità.

In ambito Csr – come nel digital del resto – rifarsi a progetti o soluzioni preconfezionate di collaborazione tra distributori e industria sarebbe un ulteriore passo verso il lancio di iniziative omologanti, stereotipate e quindi per definizione poco efficaci e credibili nella relazioni con il consumatore. Attività di cui il mercato Lcc non ha assolutamente bisogno.

* Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne, Centromarca

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