Anche se cambia forme, funzioni, dinamiche di ruolo, la famiglia per gli Italiani resta centrale come valore fondativo e come ideale di tipo civico: valore cioè tutt’altro che “corporativo” e stretto in difesa del proprio particolare ma coerente a forme d’impegno, etica, partecipazione sociale.
A minacciare oggi la condizione familiare, la sua capacità di tenuta e la progettualità che può esprimere, sono oggi dunque non una mancanza di vissuto positivo e desiderabilità diffusa. Sono invece difficoltà strutturali: debolezza di supporti istituzionali e crisi economica in primo luogo.
Certamente, il tema del lavoro (della sua assenza, precarietà, insicurezza), in questo momento impronta in negativo il sistema di attese sociali degli Italiani e delle famiglie: l’idea di un progressivo, inarrestabile declino (personale, familiare, del Paese) al quale le Istituzioni non sanno dare risposta si salda alla crisi dei canali di mobilità ascendente (l’università in particolare) come modalità di riuscita individuale. Questo sistema sta creando un cortocircuito, in cui si saldano paura e disincanto, dagli esiti sociali potenzialmente pericolosi.
La crisi economica in questo contesto è del resto solo il punto di approdo di un processo di progressivo inaridimento del sistema economico e del tessuto sociale italiano, in corso da almeno un decennio. Disoccupazione giovanile, precarietà e cattiva qualità dell’occupazione, disparità retributive e ineguaglianza nella distribuzione delle risorse, ampiezza dei divari territoriali, assenza o debolezza di visioni e progetti del Paese-Italia da parte delle sue classi dirigenti, sono fenomeni non del tutto sovrapponibili ma che puntano nella stessa direzione e pesano sulle famiglie e i relativi consumi in maniera ben più concreta degli stessi asfittici dati di crescita del Pil.
In questo contesto – che non è del resto più un fenomeno transitorio destinato ad esaurirsi (la “crisi”) ma un vero e proprio nuovo paradigma – le strategie di consumo adottate fino ad ora dalle famiglie (maggior controllo delle risorse, mobilità tra i canali di acquisto, “opportunismo” rispetto all’offerta, dilazione di acquisti impegnativi, ricorso al credito, welfare familiare ecc.) hanno, almeno in parte e sia pure con una certa fatica, retto (anche se resta difficile intravedere nel lungo periodo la “sostenibilità” e la compatibilità di queste pratiche rispetto agli andamenti “normali” ed auspicati del mercato e di un ciclo produttivo per sua natura votato alla crescita).
Eppure, nonostante la sempre maggiore centralità del prezzo nei loro atteggiamenti e comportamenti d’acquisto, i consumatori restano lontani da modelli di semplice e pura razionalità economica. Anzi, sono sempre più i nuovi orientamenti culturali – dalla ricerca di sostenibilità al desiderio di condivisione, dalla voglia di «esperienza» alla rivisitazione della memoria – a ispirare, indirizzare, guidare traiettorie e forme del consumo individuale e familiare.
La risposta delle famiglie alla crisi non si esaurisce perciò sul piano economico ma mette in campo – anche, e forse soprattutto in questi frangenti – nuovi orientamenti socioculturali e valori. Orientamenti e valori a cui il mondo della produzione e la marca possono e devono ispirarsi, rivitalizzando e valorizzando la propria vocazione e rafforzando così la propria promessa, centralità e protagonismo culturale, prima ancora che economico.
Sintesi dell’intervento proposto al convegno “Le famiglie italiane e la crisi. Valori, consumi e progetti.” da Giuseppe Minoia, Presidente Onorario di Gfk Eurisko.