L'Opinione

Centromarca - associazione italiana dell'industria di marca

Emilio Girino, 15/07/2022

Energie e materie prime: contrastare i rincari con i gruppi d’acquisto?


Lo spettro inflattivo torna ad aggirarsi per l’Occidente, intenzionato a non far sconti a nessuno. Innescata dalla pandemia ed esasperata dal conflitto in Ucraina, la corsa dei prezzi ha superato ogni ragionevole capacità predittiva di mercati e osservatori.
Nello scorso maggio il tasso inflattivo su base annua ha toccato la soglia dell’8,6% negli Usa, 8,1 nell’Eurozona, 9,1 nel Regno Unito, mentre il nostro Paese si è difeso con un 6,9%. La “locomotiva inversa” che traina l’inflazione è guidata dai rincari energetici e di materie prime in un mercato globale disordinato, rarefatto e ulteriormente drogato dalla parallela esplosione dei costi di trasporto.
Gli scenari additati da Fmi e banche centrali sono inevitabilmente inquietanti: cortocircuito fra prezzi e salari, stagnazione, Pil destinati alla contrazione.
Francesco Mutti, presidente di Centromarca, ha lanciato l’allarme a fine gennaio: l’ondata inflazionistica è una vera emergenza industriale, tale da compromettere la stessa sopravvivenza della filiera agricolo-industriale-distributiva. Insieme all’allerta, però, il presidente di Centromarca ha messo sul piatto un’idea, degna di ogni riflessione ed  elaborazione: fare in modo tale che il cumulo di domande individuali porti ad una domanda aggregata di maggiori proporzioni, così da aumentare la forza negoziale e migliorare le chance di ribasso di materie prime, energia, trasporti. La soluzione, secondo Mutti, sta nella creazione di gruppi di acquisto fra imprese.
Tenterò di suggerire qualche possibile, concreta declinazione del progetto.
Sul piano legale le tecniche attuative non mancano e non necessariamente transitano attraverso la creazione un vero e proprio consorzio, di una società consortile o di un veicolo ad hoc: la joint venture contrattuale, ad esempio, potrebbe essere un modello coerente con la funzionalità del progetto.
È sufficiente un contratto molto ben congegnato, alieno da eccessi strutturali e incline alla massima scioltezza operativa. L’obiettivo è costruire un impianto aperto ad adesioni continue, dunque agilissimo nell’accogliere
nuovi coventurers aumentando, progressivamente, ma velocemente, la potenza di fuoco del sodalizio.
Il modello di riferimento è il contratto plurilaterale per il perseguimento di un fine comune, già contemplato
nel nostro codice civile e plasmabile anche in via atipica: strumento duttile in ingresso come in uscita, dato che l’eventuale evento patologico che coinvolga uno degli aderenti determina il venir meno del contratto limitatamente al soggetto colpito senza incidere né sugli altri singoli rapporti né, di conseguenza, sulla tenuta legale dell’intero accordo.
Per quanto il destinatario naturale del modello sia la Pmi, occorre che qualche grande attore del mercato si unisca al progetto, divenendo capofila e gestendo le negoziazioni anche per conto degli aderenti di minor stazza attraverso un mandato esecutivo conferito dai partecipanti, previa definizione congiunta delle strategie e degli obiettivi negoziali e successivo controllo in fase di rendiconto.
Nella stessa prospettiva anche il governo delle relazioni interne deve essere improntato alla snellezza e, fattore decisivo in un simile contesto, alla rapidità decisionale ed esecutiva, senza pregiudicare la parità di ruolo degli
aderenti e nel contempo evitando di appesantire il meccanismo gestionale. Una possibile soluzione in grado di coniugare queste opposte esigenze è la creazione di uno steering committee, un comitato direttivo ristretto, ma adeguatamente rappresentativo di tutti gli aderenti. Questi, sulla base di affinità dimensionali o contiguità  perative, potrebbero creare dei sottogruppi ed “eleggere” ltrettanti rappresentanti comuni in seno al comitato, il quale  deciderebbe le strategie negoziali sulla base degli input pervenutigli dai primi.
Altro profilo, essenziale e delicato, riguarda l’organizzazione finanziaria della joint venture. La finalità dell’intesa implica necessariamente la movimentazione di considerevoli masse di denaro, di cui non tutti gli aderenti potrebbero proporzionalmente disporre se non aggravando la loro esposizione debitoria. Il problema si pone, in particolare, nel caso di acquisti anticipati, finalizzati a creare scorte, dove l’impegno finanziario immediato potrebbe eccedere la normale capacità di spesa periodica degli anelli più deboli del circuito.
La corsa dei prezzi ha superato ogni capacità predittiva di mercati e osservatori L’accordo dovrebbe dunque incorporare schemi di finanziamento “infragruppo”, cosicché i capifila possano gestire gli acquisti redistribuendo i benefici in termini proporzionali ai vari aderenti, agevolarne i pagamenti e assumere a collaterale, attraverso pegni o altre formule di garanzia, gli stessi beni acquistati per conto altrui.
Inoltre, l’accordo potrebbe e dovrebbe potenziare ed ergonomizzare la logistica, riducendone sensibilmente i costi attraverso soluzioni di accorpamento e di accorciamento delle filiere, anche, ove possibile, rimpatriando quelle delocalizzate.
Nel suo disegno Mutti ipotizza, infine, una sorta di garanzia pubblica in caso di eccessivo rialzo dei prezzi. Risultato auspicabile ma non facile da perseguire, poco gradito alla Commissione europea e implicante ulteriori impegni di denaro pubblico che si scontrano con le recenti politiche di tapering monetario e di contenimento degli interventi statali.
La mano pubblica potrebbe, per ora, far la sua parte sulla sponda normativa e regolamentare.
Intese di tal natura potrebbero suscitare obiezioni nelle autorità antitrust interne e sovranazionali: serve quindi prevenire sgradite soprese postume ed esonerare i gruppi di acquisto da ogni limite anticoncorrenziale, ovvio essendo che il successo dell’iniziativa richiede operazioni di scala e di ingente ammontare.
L’eccezionalità della situazione che i mercati stanno vivendo giustifica pienamente la deroga, così come ha giustificato analoghe deviazioni nel pieno della pandemia. Un ritocco, importante ma semplice da compiere, meriterebbe anche la regolamentazione fiscale, che dovrebbe, anch’essa in via temporanea, garantire la piena neutralità tributaria delle operazioni di finanziamento interno e favorire  il reshoring delle filiere.
In breve, gli Stati dovrebbero, per ora, introdurre una regola di laissez-faire per spianare la strada alle realtà private che intendano contrastare il degenerare dei rincari e aggredire alla fonte l’abnorme ipertrofia inflattiva.
Ma affinché una simile risposta pervenga occorre formulare con precisione la domanda, occorre che le imprese si attivino, organizzandosi e creando memorandum preliminari di intesa da sottoporre ad autorità e governi.
Il tempo stringe, l’autunno si avvicina, l’inverno non sarà mite. Occorre agire e reagire e vien da dire, secondo il monito di una celebre penna: se non ora, quando?

L’autore è partner dello Studio Ghidini, Girino & Associati

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