L’informazione di prodotto è una questione delicata, soprattutto in tv. Ingredienti e processi produttivi sono argomenti scientifici complessi: non è facile trattarli nei tempi e con le esigenze di semplificazione richiesti da un servizio televisivo. Servirebbero profonde competenze e obiettività, ma quel che emerge da molti programmi è soprattutto la tendenza a forzare i toni per catturare il telespettatore e sostenere la share.Il sensazionalismo vive da sempre di contrasti e sospetti. Funziona l’intervista allo scienziato dissidente che va contro i pareri prevalenti nella comunità scientifica (che ovviamente sarebbe “pilotata” dall’industria…). Fa colpo l’analisi di laboratorio che “scova” un elemento non segnalato nell’etichetta della confezione (poco importa se le prescrizioni di legge non lo richiedono). E così via. Il risultato è sempre lo stesso: nel giro di pochi minuti prodotti industriali di uso quotidiano sono fatti percepire dal consumatore come qualcosa da evitare perché addirittura “pericolosi” per la salute. Non un cenno agli investimenti in ricerca, all’innovazione per rendere i prodotti coerenti con le nuove abitudini alimentari, ai controlli cui il processo produttivo è sottoposto dalle autorità sanitarie.
Il giornalismo d’inchiesta ha poco a che vedere con questo modo di fare informazione. Le tecniche di conduzione, la regia, i montaggi tengono sicuramente incollate le persone alla tv (a vantaggio dei dati di ascolto), ma lasciano nel telespettatore confusione, smarrimento, sfiducia verso beni di uso quotidiano e verso le aziende che li producono.
Queste evidenze trovano conferma nelle analisi dei programmi tv svolte negli ultimi 18 mesi dall’Osservatorio di Pavia per Centromarca. Analisi che sono servite all’associazione per verificare la solidità delle proprie valutazioni e per richiedere alle redazioni condizioni informative più corrette ed equilibrate.
Ci sono casi in cui la selezione delle musiche, delle immagini e le sequenze dei montaggi evocano atmosfere da film thriller, determinando la percezione negativa del telespettatore verso il prodotto industriale. Modalità di trattazione discutibili, utilizzate per anche per dare forza alla debolezza delle tesi sostenute nei programmi, che hanno l’effetto di generare allarme e indurre nel consumatore ingiustificati sentimenti di preoccupazione, ma anche di riprovazione e condanna morale nei confronti di interi settori produttivi, con effetti sui comportamenti di acquisto e sulle dinamiche competitive tra comparti e tra aziende.
Questa “comunicazione latente” gioca sull’emotività dello spettatore, induce al sospetto e delegittima il mondo delle imprese che producono beni di consumo. Aziende che firmano i loro prodotti, rispettano le normative e giocano la partita della concorrenza in un mercato ipercompetitivo, dove il cittadino sceglie liberamente il prodotto che preferisce tra innumerevoli alternative.