L’avvio del processo di uscita del Regno Unito dalla Ue, la svolta nella politica americana dopo la vittoria elettorale di Trump, la paralisi nelle politiche europee alla vigilia di un periodo denso di scadenze elettorali: questi i punti principali di un quadro politico internazionale che modificherà certamente la struttura delle relazioni economiche dei prossimi anni. In quale direzione è difficile da stabilire ex-ante.Per ora gli annunci della politica economica americana vanno nella direzione di riduzioni di imposte finalizzate a aumentare l’attrattività degli investimenti interni. Un allargamento del deficit pubblico è molto probabile negli Stati Uniti. Brexit e Trumpnomics puntano a una riduzione del grado di apertura agli scambi internazionali; politiche protezionistiche adottate da alcuni Paesi avrebbero effetti a catena, spingendo anche altre economie a penalizzare la penetrazione delle merci estere sui mercati domestici. E’ anche probabile un nuovo cambiamento nelle politiche energetiche, con un ritorno verso i combustibili fossili a sfavore delle rinnovabili. La misura in cui questi indirizzi si materializzeranno concretamente definirà il nuovo ambiente economico per un lungo periodo.
Per ora già si vedono le conseguenze dei nuovi indirizzi sull’andamento dei prezzi di molte attività finanziarie. Il mix di una politica di bilancio espansiva accompagnata all’annuncio di misure protezionistiche ha difatti portato il dollaro ad apprezzarsi. La tendenza, se i tagli delle imposte verranno confermati, potrà anche accentuarsi, portando il dollaro sotto la parità verso l’euro e, soprattutto, provocando una nuova ondata di svalutazioni nelle economie emergenti. La politica fiscale aumenterà la crescita Usa, anche se l’effetto espansivo in parte verrà attenuato dal dollaro forte e dall’aumento dei tassi d’interesse. Per ora l’entità dei rialzi dei tassi da parte della Fed appare contenuta, ma molto dipenderà dall’entità delle misure di aumento del deficit, e dagli effetti che potrebbero derivarne sull’inflazione.
L’inflazione Usa si sta portando su valori leggermente superiori al 2 per cento, ma in tutto il mondo è in corso un graduale aumento nella dinamica dei prezzi. L’aumento generalizzato dell’inflazione non riflette per ora cambiamenti di rilievo nelle condizioni di domanda aggregata, ma è riconducibile soprattutto al recupero dei prezzi delle materie prime rispetto ai minimi. Soprattutto nell’area euro i livelli dell’inflazione, corrente e attesa, sono largamente al di sotto degli obiettivi della Banca centrale. La Bce deve ribadire la politica a sostegno della domanda per prevenire un contagio dall’aumento dei tassi Usa ai tassi europei. L’indebolimento del cambio dell’euro verso il dollaro ha l’effetto di ampliare l’incremento delle quotazioni delle materie prime espresse in euro, ma gli indicatori dell’inflazione di fondo e le aspettative indicano che siamo molto lontani dagli obiettivi.
Gli effetti sulla crescita dell’indebolimento dell’euro sul dollaro sono peraltro molto limitati, considerando che le valute di molte economie emergenti hanno subito deprezzamenti ancora più marcati. Il cambio effettivo dell’euro quindi si è deprezzato poco, e i principali beneficiari della ripresa della domanda americana potrebbero essere quest’anno proprio i Paesi emergenti. E’ l’effetto paradossale della politica Usa che, avendo annunciato misure a sfavore delle importazioni dai Paesi emergenti, almeno nel breve periodo si ritroverà ad aumentarle, data la domanda interna in crescita e il cambio più forte.
L’area euro continua a crescere a ritmi moderati, con ampie divergenze fra i maggiori Paesi. L’economia più brillante in questa fase è quella spagnola, mentre Italia e Francia restano indietro nei tempi della ripresa. Le divergenze nelle condizioni macroeconomiche dei diversi Paesi restano ampie, soprattutto dal punto di vista delle condizioni dei mercati del lavoro. Nel 2017 la Germania confermerà un tasso di disoccupazione molto basso e registrerà dinamiche salariali superiori a quelle delle altre economie dell’area euro.
L’Italia è entrata in una fase di stagnazione salariale, anche se, dato il gap sfavorevole in termini di produttività rispetto ai partner, questo potrebbe non bastare per rilanciare la nostra posizione competitiva. La crescita del Pil a fine 2016 e nei primi mesi del 2017 dovrebbe restare di segno positivo, ma ancora su valori non superiori all’1 per cento su base annua. La buona notizia è che la ripresa continua, quella cattiva è che i tassi di crescita per ora sono bassi, soprattutto alla luce delle ampie contrazioni registrate fra il 2007 e il 2013. La crescita attesa appare insufficiente per alleviare le gravi conseguenze di carattere sociale prodotte dalla crisi, anche perché, a parità di tassi di variazione del Pil, probabilmente si ridurrà la crescita dell’occupazione, venendo meno l’effetto degli sgravi contributivi che hanno sostenuto la domanda di lavoro nel 2015.
Se i numeri della crescita descrivono uno scenario in continuità con le tendenze degli ultimi due anni, cambiano decisamente le caratteristiche del percorso di crescita. In particolare, nei prossimi due anni si dovrebbe osservare una drastica decelerazione del potere d’acquisto delle famiglie. Frenano i consumi, mentre il testimone della crescita dovrebbe passare alle esportazioni, a condizione che nei prossimi trimestri trovi conferma la ripresa del commercio mondiale. Rispetto a questo scenario non sembrano esserci spazi significativi per un rilancio della domanda interna attraverso le politiche fiscali. I saldi di finanza pubblica restano su livelli nel complesso tranquillizzanti in termini assoluti, sotto il 3 per cento del Pil secondo le nostre stime, ma restiamo su valori non in linea con gli obiettivi europei. I rischi della previsione appaiono quindi legati soprattutto al fatto che resterà aperto il bargain con le autorità europee per confermare la possibilità di deviazioni rispetto ai target. Dal 2018 gli obiettivi sono garantiti ancora, nella programmazione della politica di bilancio italiana, dalle “clausole di salvaguardia” (che non abbiamo incluso nel nostro scenario). Ancora una volta, la priorità è evitare gli aumenti dell’Iva programmati. Occorrerà una buona capacità di coordinamento con le autorità europee; la partita è politica e proprio per questo solo gli esiti delle tornate elettorali programmate nei prossimi mesi nei maggiori Paesi europei potranno gettare luce su un orizzonte che resta ancora offuscato.
Tratto dal periodico di analisi e previsione “Congiuntura ref”, del 26 gennaio 2017
Per informazioni e abbonamenti: congiunturaref@refricerche.it