L'Opinione

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Giorgio Santambrogio, 07/04/2021

Sostenibilità: tre percentuali su cui riflettere


“Iniziate a nuotare o affonderete come pietre perché i tempi stanno cambiando”. Parto dai versi di una vecchia canzone di Bob Dylan, un inno di molti anni fa che raccontava la necessità di cambiare per un mondo più giusto e più uguale per tutti. “Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”. Questa invece è una frase di Winston Churchill che cito spesso perché mi sembra adatta al momento che stiamo vivendo, un momento che sta cercando un nuovo equilibrio.

Perché parlare di noi, significa prima di tutto parlare del mondo che cambia.

Mi spiego: il rapporto tra produzione e distribuzione è sempre stata una gran bella storia da raccontare. Ma l’obbligo della sostenibilità ci obbliga a prendere atto che la transizione che stiamo vivendo, caratterizzata dalla crisi sanitaria, sociale ed economica che la pandemia ha imposto al nostro modo di vivere, ha bisogno di una trasformazione radicale del nostro modo di agire sul mercato.

Bisogna cambiare quindi. Ma come? Analizziamo tre percentuali.

  • 17%: secondo il Circularity Gap Report 2021, oggi solo l’8,6% dell’economia globale può essere definita circolare e sarebbe sufficiente arrivare ad un tasso di circolarità del 17%, per contribuire in maniera decisiva ad abbattere le emissioni globali del 39% e fermare così il riscaldamento globale. Recuperare materia significa raffreddare il pianeta. E il raggiungimento di questo obiettivo riguarda anche noi.
  • 37%: dopo la pandemia avremo più sostenibilità o meno sostenibilità? Più Economia Circolare o meno Economia circolare? Risponde il Next Generation EU che mette a disposizione del nostro paese 209 miliardi non per ripristinare quello che è andato perduto con il Covid-19, ma per costruire un modello di sviluppo nuovo, rigenerativo e realmente sostenibile. Per riuscirci occorre ripensare completamente alla sostenibilità e al suo equilibrio nelle sue tre dimensioni, economica, sociale e ambientale. Cambia il valore delle persone, cambia il valore del consumo, cambia il valore del mercato. Il 37% di quei fondi dovrà essere impiegato in progetti di sostenibilità ambientale, efficientamento energetico e ripensamento delle filiere produttive all’insegna della circolarità. Quel 37% di investimenti parla molto di quello che facciamo anche noi.
  • 79%: l’Italia è il paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti raccolti (urbani, industriali etc.). Siamo campioni europei nel recupero e riciclo dei rifiuti e nell’economia circolare. Tre indicatori chiave – il tasso di riciclo dei rifiuti, l’uso di materia prima seconda, la produttività e il consumo procapite di risorse – descrivono il nostro come il paese più “circolare” di tutti. Eurostat calcola per l’Italia un tasso di riciclo sul totale dei rifiuti pari al 79%, il più alto tra i paesi europei, con una incidenza più che doppia rispetto alla media UE (la Francia è al 56%, il Regno Unito al 50%, la Germania al 43%).

Anche noi, insieme, con la rivoluzione del packaging di prodotto e l’educazione allo smaltimento dichiarato in etichetta abbiamo contribuito e stiamo contribuendo in maniera decisiva a questo risultato. Queste tre percentuali definiscono e fotografano il nuovo rapporto che deve esistere e coesistere tra produzione, distribuzione e consumo. Impongono di ripensare la nostra responsabilità sociale d’impresa all’insegna di una nuova economia della relazione. Al centro del nostro sistema il tema della verità, nel definire il rapporto tra domanda e offerta, tra produzione e consumo, tra fiducia e comunicazione. Le marche e le insegne oggi raccontano i loro prodotti, i loro servizi, la loro mission utilizzando elementi identitari come sostenibilità, qualità, trasparenza, territorio, coesione. I bilanci di sostenibilità che ormai non a caso chiamiamo bilanci di comunità, sono il nuovo orizzonte del marketing identitario.

La sostenibilità e il raggiungimento dei suoi obiettivi è un valore certificato, autentico, verificabile. Questo paradigma di verità cresciuto nel tempo non solo è “utile”, ma è “necessario” perché offre la possibilità di scegliere prodotti per un consumo sempre più consapevole e rispettoso dell’ambiente e del nostro benessere. Se rompi questo equilibrio, sei fuori gioco. Se oggi 7,6 miliardi di persone stanno esaurendo le risorse prodotte da 1,7 pianeti come il nostro e si calcola che nel 2050, 9.8 miliardi di persone consumeranno 3 pianeti come la terra, allora non abbiamo più scuse e dobbiamo subito contribuire insieme a costruire un nuovo paradigma di sviluppo capace di fare i conti con quello che abbiamo.

Ma non lo possiamo fare da soli, isolati, chiusi nel recinto delle nostre abitudini. Dobbiamo unire le forze.  Ci aiutano i consumatori che sempre più fanno scelte di sostenibilità e le vogliono trovare al giusto prezzo nei nostri punti di vendita e conoscere attraverso la comunicazione dei prodotti.

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao), ogni anno viene sprecato circa un terzo del cibo prodotto nel mondo per consumo umano, pari a circa 1,3 miliardi di tonnellate. Lo spreco trasformato in opportunità riguarda non solo il cibo ma tutto il sistema di relazione tra produzione e consumo; l’energia, il suolo, la progettazione, la costruzione, i materiali, la logistica, i rifiuti, lo smaltimento, l’innovazione, il benessere dell’uomo e degli animali.

Sempre di più i punti di vendita devono diventare hub della sostenibilità, centrali antispreco, nodi indispensabili nella costruzione e comunicazione della catena del valore di un prodotto e della sua filiera, fiduciari nei confronti dei consumatori sempre più consapevoli che vogliono far parte del cambiamento con tutte le loro scelte di consumo.

Ecco perché parlare di noi significa parlare del mondo che cambia.

L’autore è Giorgio Santambrogio, Amministratore Delegato del Gruppo VéGé

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